Il ruolo delle ONG nelle "zone calde" del conflitto geopolitico eurasiatico
Giovanna Canzano
intervista
Luca Bionda
7/11/2008
…“Oggi le maggiori ONG, nate in massima parte negli Stati Uniti e solo
in un secondo tempo in Europa, Canada ed Australia, sono in grado di pianificare
un’infiltrazione multiforme del “modello occidentale” su diversi strati sociali in territori
altrimenti inaccessibili a livello politico…” (Luca Bionda)
CANZANO 1 – Le organizzazioni non governative (ONG) insediatesi a partire dagli anni ’90 nelle “zone calde” del continente eurasiatico, sono entrate spesso in contrasto con i paesi ospitanti determinando in molti casi dure reazioni politiche, perché?
BIONDA – Tralasciando le piccole associazioni umanitarie che nella maggior parte dei casi sono mosse da autentico e lodevole spirito solidaristico, possiamo osservare che l’operato delle grandi ONG costituisce oggi uno strumento operativo efficacissimo in grado di perturbare sensibilmente lo sviluppo della società civile e perfino di lavorare in campo spionistico sotto una “copertura umanitaria”.
Oggi le maggiori ONG, nate in massima parte negli Stati Uniti e solo in un secondo tempo in Europa, Canada ed Australia, sono in grado di pianificare un’infiltrazione multiforme del “modello occidentale” su diversi strati sociali in territori altrimenti inaccessibili a livello politico: se gli Stati con i maggiori problemi umanitari e sociosanitari si trovano in Africa e nell’Asia Meridionale ed Orientale, per quale motivo le ONG statunitensi proliferano nei Balcani, in Caucaso ed Asia Centrale? Nessun filantropo d’oltreoceano ha mai dato una spiegazione convincente a riguardo, a parte i soliti generici riferimenti alla “democrazia e lo sviluppo della società civile”.
Il carattere governativo o paragovernativo di molte ONG peraltro è ampiamente dimostrato dai singoli canali di sponsorizzazione. I fondi necessari all’apertura ed alla gestione di strutture simili, presenti sul territorio con un personale talmente ben remunerato da costituire un vero traguardo professionale per la gioventù locale, sono riconducibili essenzialmente al governo degli Stati Uniti (vd. U.S.A.I.D., N.E.D., ecc.) e ad un modesto gruppo di miliardari. È interessante notare come questi ultimi siano noti in campo “umanitario” come filantropi, ma in campo “finanziario” come affamatori di popolo e speculatori senza scrupoli.
Il motivo per cui questi “think tank” preferiscano occuparsi della condizione femminile georgiana oppure della comunità omosessuale armena piuttosto che pensare agli sfollati di New Orleans o agli ispanici di Los Angeles non è difficile da intuire. Le reazioni dei governi locali agli “obiettivi politici” di queste organizzazioni vanno quindi lette come un tentativo di contrastare spionaggio ed ingerenze nelle attività politiche e governative dei singoli Stati.
CANZANO 2 – Perché il Caucaso rappresenta il territorio maggiormente interessato dalle organizzazioni non governative (ONG) statunitensi?
BIONDA – Le ragioni principali sono la posizione geografica strategica del Caucaso e l’opportunità statunitense di indirizzare a proprio favore la linea politica di Stati destinati altrimenti a rimanere nell’orbita di Mosca.
Senza le sedi operative delle ONG di Tbilisi, dove il mancato controllo statale sull’operato dei gruppi legati a George Soros ha creato le condizioni per lo scoppio della rivolta studentesca di Kmara & Co. (2003), quanto avrebbero impiegato gli Stati Uniti ad ottenere una sottomissione completa del governo locale ai progetti atlantici nel paese? La preparazione di un apparato di formazione gestito dalle ONG ha rappresentato un passo indispensabile per sostenere la rivolta contro Shevardnadze, in assenza di simili condizioni lo stesso Saakashvili sarebbe rimasto a fare l’avvocato negli Stati Uniti.
Questo è in sintesi il senso di ciò che a New York definiscono “promuovere il libero sviluppo della società civile”, a Tbilisi la scuola di formazione politica statunitense ha creato dal nulla un governo di trentenni che possono essere ben manovrati dall’estero, come dimostrano in parte i tragici eventi dell’Agosto scorso.
Non dobbiamo dimenticare che nel Caucaso si configura una serie molto ampia e multiforme di scenari per la geopolitica delle grandi potenze, pensiamo alle esercitazioni navali della NATO vicino alla flotta russa sul Mar Nero, oppure ai recenti colloqui tra delegazioni di Turchia ed Armenia in tema di sviluppo e sicurezza della regione.
CANZANO 3 – Quali sono gli obiettivi dei finanziatori di molte ONG made in USA insediatesi a partire dagli anni ’90 nelle “zone calde” del continente eurasiatico?
BIONDA – Ricollegandomi a quanto detto in precedenza, ritengo che ogni responsabile di attività in campo umanitario conosca i caratteri peculiari delle società in cui opera. Penso quindi che forzare a diversi livelli l’introduzione di elementi “occidentali” in sistemi politici conservatori ed in società tradizionali come quelle del Caucaso significhi destabilizzare coscientemente gli equilibri di una nazione.
Provocare delle rivolte in Caucaso è meno problematico che altrove per la presenza di numerosi popoli storicamente divisi da secoli di scontri interetnici. Fino agli anni ’80 la potenza sovietica agiva da garante della pace, pur adottando spesso misure politiche inique per mantenere un equilibrio politico nella regione, ma la sua fine ha progressivamente allontanato Mosca dagli interessi locali, come dimostrano i numerosi conflitti che hanno scosso il Caucaso negli anni ’90.
In ogni caso “essere presente” in Caucaso significa controllare l’economia che ruota attorno agli idrocarburi: Dal bacino del Mar Caspio (Azerbaijan, Turkmenistan, Russia) tutte le fasi di estrazione, lavorazione, stoccaggio e conferimento ai porti del Mar Nero coinvolgono questa complessa regione. Si pensi a strutture vitali per l’Europa come gli oleodotti Baku-Novorossijsk, Baku-Supsa e Baku-Ceyhan, oppure al progetto del gasdotto Nabucco ed all’influenza che lo stesso presumibilmente avrà sulla risoluzione del conflitto del Nagorno Karabagh.
CANZANO 4 – Quale ruolo ha avuto Israele nella guerra tra la Georgia e la Russia?
BIONDA – Un ruolo di pieno sostegno politico a Saakashvili, rafforzato concretamente dal supporto tecnico israeliano nell’addestramento militare dell’esercito georgiano, almeno stando a quanto sottolineato dalla stessa stampa internazionale.
Non esistono particolari misteri da chiarire in tal senso poiché è stato lo stesso governo georgiano a parlare in toni entusiastici di questi legami. Ad esempio, si legge su Haaretz.com, il Ministro per la Reintegrazione della Georgia parlando in ebraico alla radio dell’esercito israeliano ha lodato più volte l’operato della società privata israeliana responsabile dell’addestramento degli ufficiali georgiani inviati in Ossezia del Sud. D'altronde Israele, come molti Stati balcanici e baltici, ha operato in piena coerenza con gli attuali equilibri geopolitici internazionali.
CANZANO 5 - Sappiamo che questa guerra è in qualche modo collegata con un’eventuale aggressione di Washington all’Iran, è per questo che gli USA hanno bisogno del territorio georgiano?
BIONDA – È difficile vedere un legame diretto ed univoco tra la guerra in Ossezia del Sud ed un futuro attacco americano all’Iran. Il “controllo” della Georgia certamente può garantire agli Stati Uniti un appoggio importante per produrre tensioni politiche, economiche e militari nel Caucaso e manipolare i principali mercati energetici.
Il confine Sud-Ovest della Federazione russa è da sempre fragile, ma mentre Mosca ha interesse a mantenere la stabilità nell’area anche a costo di impegnarvi costantemente l’esercito (Ossezia del nord, Dagestan, Cecenia, Inguscezia, Kabardino Balcaria), gli Stati Uniti puntano ad ostacolare ogni processo che in Caucaso non veda prospettive favorevoli all’espansione atlantica. È difficile pensare che Washington guardi con favore al ruolo della Russia come garante dell’equilibrio regionale, proprio perché la destabilizzazione del Caucaso è un passo importante per danneggiare i rapporti tra Russia, Iran e, secondariamente, Armenia.
CANZANO 6 - Due parole sul presidente georgiano Mikheil Saakashvili
BIONDA – In tutto il Caucaso chi non capisce o chi finge di non capire l’importanza di un dialogo con la Russia è destinato ad avere problemi. La fallita riconquista dell’Ossezia del Sud ha in buona parte compromesso il futuro politico dell’attuale presidente georgiano. Finiti i tempi del massiccio sostegno popolare durante la guerra, i Georgiani comprendono bene che Saakashvili non ha rappresentato un vero cambiamento rispetto all’era-Shevardnadze, egualmente caratterizzata da scarso rispetto per le regole del libero dibattito politico ed una certa avventatezza in campo diplomatico e militare. D’altronde lo stesso Saakashvili era stato riconfermato da neppure un anno grazie a contestate elezioni anticipate, precedute da pesanti scontri di piazza nel Novembre 2007.
L’Occidente ha scelto di ignorare a lungo i problemi della politica interna della Georgia ma, tenuto conto che la riconquista dei territori perduti ha rappresentato a lungo il motore di Saakashvili, quanto potrà durare la recente logica dei “rimpasti” di governo culminata con le dimissioni del Primo Ministro Gurgenidze?
Mi chiedo se l’Unione Europea abbia coscienza di tutti questi problemi, dato che oggi raccoglie miliardi per una “ricostruzione della Georgia”, per di più senza chiarire se tra i beneficiari dei fondi potranno esserci proprio Abkhazia ed Ossezia del Sud, considerati dall’UE una parte di territorio georgiano e vere vittime della guerra.
CANZANO 7 - La vittoria di Barack Obama cambia qualcosa nei piani americani?
BIONDA – Credo di no, almeno non sulla base degli attuali equilibri politici. La prematura e francamente ridicola celebrazione con cui i Media europei hanno salutato Barack Obama come “uomo di pace” potrebbe lasciare il posto alla delusione: il neopresidente non ha ancora la minima idea di chi entrerà nel suo governo, tuttavia da mesi si conosce il principale consigliere presidenziale per la politica estera, quello Zbigniew Brzezinski ispiratore dei vari Trilateral Commission, Council on Foreign relations, National Endowment for Democracy, Bilderberg Group, Project for a New American Century, ecc. Si tratta in poche parole di strutture governative e non, think tank e programmi che nel complesso evidenziano precise linee guida per completare la supremazia mondiale degli Stati Uniti in campo politico, economico e militare.
Questo dimostra che la politica estera americana, nonostante i buoni propositi del neopresidente, potrebbe voler mantenere quei caratteri di unipolarismo sempre più messo in crisi dalla rinascita delle altre superpotenze mondiali e regionali (Russia, Cina, India, America Latina e, auspicabilmente, Unione Europea). Sarà evidentemente compito di Obama cercare di limitare (o espandere) il raggio d’azione delle lobby economiche e dei centri di potere che lavorano all’ombra della Casa Bianca.
Obama infatti rappresenta il “volto buono” degli Stati Uniti e la voglia di cambiamento (“change, we can believe in”, motto dei Democratici); di fatto però gli odierni “consiglieri” del presidente garantiscono che nel mirino di Washington non ci sarà né Bin Laden né il suo tappeto volante, bensì la Federazione russa. È sufficiente leggere le dichiarazioni in campagna elettorale durante la guerra in Ossezia del Sud per comprenderlo.
La vittoria di Obama ha portato infatti segnali di ottimismo da tutto il mondo, Iran e Cina compresi; per tutta risposta il presidente russo Medvedev, che ben conosce la macchina governativa americana, ha deciso di rovinare la festa riprendendo il dibattito a distanza sull’accerchiamento militare della NATO verso la Russia, mettendo in chiaro che l’installazione dello “scudo spaziale” americano in Polonia e Rep. Ceca provocherà il dispiegamento nella vicina Kaliningrad dei missili tattici a corto raggio “Iskander”, uno dei fiori all’occhiello della produzione bellica russa.
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BIOGRAFIA
LUCA BIONDA, collaboratore di "Eurasia, Rivista di Studi Geopolitici", si occupa di Caucaso e di conflitti regionali. Come inviato di “Eurasia” ha visitato recentemente l'Ossezia del Sud e la provincia serba del Kosovo Metohija. Nel 2007 ha partecipato come osservatore internazionale indipendente al monitoraggio delle elezioni parlamentari in Abkhazia e delle ultime elezioni presidenziali svoltesi nella Repubblica del Nagorno Karabagh.
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