I “negazionisti” dei “negazionisti”
Giovanna Canzano
intervista
Claudio Moffa
24/06/2007
CANZANO – Allora, il 19 giugno a Controcorrente, su Sky, c’è stata una significativa svolta per la vicenda Faurisson …
MOFFA - Direi proprio di sì. Al di là della solita arroganza di qualcuno, il passaggio più significativo è stato quando Nicola Tranfaglia ha accettato l’idea di un contraddittorio pubblico con Faurisson: smentiti dunque i “negazionisti” dei “negazionisti”. Non si può continuare a tacere, chi– come Tranfaglia – vuole veramente battere il revisionismo olocaustico è opportuno che si cimenti in un dibattito pubblico. E discutere fa sempre bene, a tutti …
CANZANO – Come ci si è arrivati nella trasmissione?
MOFFA - La puntata è iniziata sul caso Priebke, in studio Tranfaglia ed io, in teleconferenza il prof. Faurisson e Victor Magiar della Comunità ebraica romana. Poi a un certo punto è uscito fuori il tema della libertà di espressione, e si è passati alla vicenda di Teramo e a Faurisson. Magiar ha attaccato frontalmente lo studioso francese, ma se l’è presa anche col master e col mio invito, sostenendo che ero stato unilaterale, e che non avrei proposto il contraddittorio. Ho replicato snocciolando i nomi di tutti gli studiosi, storici ed esponenti della comunità ebraica da me invitati, citando fra gli altri Sarfatti, Pisanty e Pezzetti, e dicendo che per un motivo o per l’altro (Sarfatti all’inizio, prima ancora che avessi pensato ad invitare Faurisson) non erano voluti venire. E’ stato a questo punto che Tranfaglia ha detto che se avessi invitato lui, lui sarebbe venuto a Teramo. Ho “rilanciato”, e l’ho invitato per il prossimo anno ad un contraddittorio con Faurisson. Ha accettato: mi pare una svolta positiva per tutti, compresi gli storici antinegazionisti, che alla fine se insistono a rifiutare ogni confronto, rischiano di perdere la faccia. Non leggo nessuna indulgenza in Tranfaglia, solo un atteggiamento corretto e responsabile di storico e di intellettuale.
CANZANO - Andiamo all’inizio di questa vicenda. Quando è nata l’idea di fare il master in Medio Oriente e parlare dell’olocausto?
MOFFA – Il master Enrico Matteo Medio Oriente è un master multidisciplinare che tratta di storia, politica internazionale, culture e religioni, economia, diritto e informazione. Il corso dura in tutto trecento ore, di cui 120 di lingua araba e 180 appunto di argomenti multidisciplinari: nulla di più normale è stato dunque dedicare un po’ di spazio anche al tema dell’Olocausto, ivi compreso il revisionismo sull’argomento, e non solo per il noto convegno di Teheran – emblema dell’uso politico dell’olocausto anche da parte iraniana – ma più in generale per il ruolo svolto dal dogma olocaustico in tutta la storia di Israele dalla fine della II guerra mondiale ad oggi. Come ricordano Norman Finkelstein e Tom Segev, l’olocausto è utilizzato da Israele per avere una patente di impunità riguardo alla violazione del diritto internazione almeno a partire dal ’67. Inizialmente, secondo il programma caricato sul sito fin dal dicembre 2006, era prevista una settimana intera dedicata a “il medio oriente e l’olocausto”. Nei fatti, alla questione sono state dedicate teoricamente quattro ore (la lezione di Thion, e quella, però saltata, di Faurisson) più un convegno della durata complessiva di 16 ore spalmate su tre giorni - “La storia imbavagliata” - ma di carattere prevalentemente giuridico, e con una forte presenza di storici e studiosi anti Faurisson.
CANZANO – Perché questo titolo?
MOFFA – Perché in tutta Europa si vanno affermando leggi liberticide che pretendono di imporre una “verità di stato” protetta dal codice penale su alcuni eventi chiave del secolo passato: non c’è solo l’Olocausto, c’è anche il genocidio armeno – la cui negazione e la cui affermazione sono condannate rispettivamente in Francia e in Turchia: assurdo!! – e ci sono, nella repubblica ceca i “crimini del comunismo” la cui negazione è appunto punita. Ecco l’imbavagliamento della storia. Dai giuristi che hanno partecipato al convegno, come Ainis e Sinagra è venuto fuori il dato allarmante di una tendenza totalitaristica strisciante, resa ancora più pericolosa dalla spada di Damocle dal mandato di cattura europeo. Dentro questo quadro generale, sicuramente il negazionismo gioca un ruolo notevole, perché la legge colpisce soprattutto questa tendenza storiografica. Se per ipotesi è totalmente infondata e propagandistica, oppure se ci possono essere degli appigli di parziale verità o comunque c [testo troncato nel sito]
CANZANO – Perché continuare ad usare il termine olocausto o shoa?
MOFFA – Siamo di fronte ad un fatto storico, che da alcuni viene interpretato o in chiave religiosa, da cui il termine come la shoa e l’olocausto che ricorda il sacrificio della vittima a Dio, o con finalità politica. A parlare di queste cose sono gli studiosi a livello di Finkelstein da me invitato per primo in Italia, a Teramo nel 2002, dove lui parlò per la prima volta di un’industria dell’olocausto. Neppure Faurisson che riduce drasticamente le cifre fino a 150.000 gli ebrei morti nei campi di concentramento, che sono comunque una cifra enorme orribile, nega lo sterminio degli ebrei.
CANZANO – Allora l’aggressione che avete subito non è giustificata?
MOFFA - Quelli che ci hanno aggredito non sono dentro questo meccanismo. C’è un clima di intossicazione creato dalla stampa, che dice quasi sempre le stesse cose ed emargina le voci dissenzienti. Alcune testate hanno raccontato su Teramo fatti completamente diversi da quelli effettivamente svoltisi, omettendo e falsificando i dati. C’è poi un clima generale che riguarda la stessa comunità ebraica italiana e l’intellettualità ad essa vicina. Fino all’82, esisteva una dialettica fra sionisti e antisionisti, ricordo uno studioso come Guido Valabrega, una giornalista come Livia Rokach di Repubblica, o altre voci dentro il vecchio PCI. Oggi tutto è cambiato: il martellamento della stampa, la politica di recupero dei vertici della comunità ebraica italiana, hanno portato alla formazione di generazioni che sono sempre allineate con Israele, qualsiasi cosa faccia, e che accrescono di anno in anno la loro attenzione e la loro “memoria” degli eventi della II guerra mondiale. Il rischio è sfociare in una sorta di ossessione mistica religiosa. Faccio un esempio, prendersela con Faurisson perché avrebbe “negato il lutto” di qualcuno, intendo dire di qualche specifica famiglia di deportato ben individuabile con nome e cognome, come ha scritto su Repubblica una persona di solito intelligente come Michele Serra, è un’assurdità, oltre che una sorta di istigazione a reiterare quanto accaduto a Teramo: la riduzione drastica del numero delle vittime dello sterminio di ebrei nei lager, operata da Faurisson - giusto o sbagliato che sia - non comporta certo automaticamente l’esclusione dal nuovo computo del deportato Tizio o della deportata Caia. Per cui la reazione ossessiva alle tesi dello studioso francese e degli altri “negazionisti”, non riguarda affatto i sentimenti individuali offesi, ma il dogma dell’Olocausto: uno sterminio di ebrei che sarebbe avvenuto secondo modalità e quantità ormai “accertate” per sempre: 6 milioni di ebrei, uccisi con le camere a gas. E’ accettabile un dogma da un punto di vista storiografico? In realtà la storiografia è revisione continua: uno storico serio deve valutare tutte le fonti e ascoltare tutte le voci: e un coordinatore di master, anche se non è esperto di questo o quell’argomento, può proporre agli studenti con pieno diritto voci diverse su uno stesso argomento: senza che questo voglia dire condividerle.
CANZANO – Perché la venuta di Faurisson in Italia ha dato così tanto fastidio?
MOFFA – C’è il fatto oggettivo di uno studioso inviso alle comunità ebraiche europee. Ma di Faurisson hanno in qualche modo approfittato coloro cui comunque il master ha sempre dato fastidio, fin dal suo inizio: in realtà il primo attacco al corso di studi intitolato a Enrico Mattei risale nientemeno che al 16 novembre del 2005, giorno in cui il sito di un tal Institut for Jewish History di Londra, ha pubblicato l’articolo di un allora collaboratore del Foglio di Ferrara, Emanuele Ottolenghi, che, parlando dell’antisemitismo in Italia, mi dedicava sedici righe per un articolo datato … 2001. Come mai tanto ritardo, fino alla data in cui scadevano le domande di iscrizione alla prima edizione del master? Quelle sedici righe poi erano e sono piene di menzogne, come ho documentato sul sito: Ottolenghi mi attribuiva infatti fra virgolette frasi tratte dal Corriere della Sera o da altri giornali, e scriveva “according to Moffa”, invece che citare le mie fonti; sosteneva poi che queste consistevano in “unquoted articles”, cosa non vera vista le date dei giornali citati, il titolo dell’articolo e l’autore. Insomma, un attacco preventivo nella speranza che il master fallisse alla prima edizione, perché mi conoscevano come un “pericoloso” intellettuale e giornalista libero, che non ha paura di affrontare i problemi spinosi. Poi il secondo attacco, all’inizio della seconda edizione: un convegno su Medio Oriente e Mass media colpevole di aver ospitato giornalisti controcorrente come Blondet e Fini, e soprattutto gli ambasciatori iraniano e siriano; e ancora di più colpevole per aver dato la parola in quella stessa settimana anche a Dan Vittorio Segre, e per aver invitato l’ambasciatore israeliano. Per i settori oltranzisti filoisraeliani ciò è inconcepibile: per essi, quello che è effettivo pluralismo di un corso di studi, diventa inaccettabile “legittimazione” del Nemico. Un Nemico che per loro è da annientare, non da interloquire o affrontare in un dibattito civile. Ritengo che proprio questa apertura del master sia stata la causa di tante reazioni isteriche: un master a cui sono state ripetutamente invitati esponenti e intellettuali della comunità ebraica italiana come Renzo Gattegna, Marcello Pezzetti del Centro di documentazione ebraica, Valentina Pisanty autrice del libro “le irritanti questioni delle camere a Gas”, o Furio Colombo. Tutti a parlare di assenza di contradditorio al master, e contemporaneamente a rifiutare l’invito che, se accettato, avrebbe reso possibile il contraddittorio stesso. In un crescendo di isteria, fino al 18 maggio …
CANZANO – … Il giorno dell’aggressione a lei, a Faurisson e alle forze di polizia: per concludere, qual è il suo giudizio sui fatti di Teramo?
MOFFA – Ci sono tanti aspetti. Quello che sottolinerei più di altri è questo: in Italia non esiste per fortuna una legge liberticida come la francese Gayssot-Fabius. Ma ecco che all’occorrenza si scatena la violenza di piazza, che finisce per creare un problema di presunto “ordine pubblico”, e dunque per impedire nei fatti la libertà di insegnamento, di parola e di pensiero. A Teramo è andata così: la legge non ci poteva impedire né la conferenza né la lezione di Faurisson all’Università. E’ stata la piazza ad imporre la sua “legge”, scavalcando il Parlamento sovrano: la legge della violenza. Non è certo una cosa edificante per lo stato di salute della democrazia nel nostro paese.
CURRICULUM Claudio Moffa, è professore ordinario di Storia ed Istituzioni dei Paesi afroasiatici presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo. Come studioso, saggista e notista di problemi internazionali, si è occupato in particolare, sia da un punto di vista politologico che (per quel che riguarda in particolare l'Africa) etno-antropologico, delle seguenti aree di crisi, prima e soprattutto dopo la fine del bipolarismo Est-Ovest: Medio Oriente: Iraq, conflitto israelo-palestinese (fin dal suo primo libro, La resistenza palestinese, Roma 1976), Afghanistan. Africa: tutta, e in particolare Etiopia-Eritrea (due libri: Etiopia dietro la trincea, Milano 1978, e La rivoluzione etiopica Testi e documenti, Urbino) e Somalia; Ruanda e Burundi (conflitto tutsi-hutu) e Regione dei Grandi laghi, Zaire-Congo e "prima guerra mondiale africana", Sierra Leone, Costa d'Avorio, Liberia, Nigeria, Zimbabwe, Sudan, Angola, Namibia, Sudafrica. Quanto alle problematiche "traversali" si è occupato diffusamente del "fattore etnico" in Africa, della "questione nazionale" nell'età postcoloniale e postbipolare, e della sua proiezione giuridica, il "principio di autodecisione dei popoli", proponendo già nel 1988 (Quaderni Internazionali n. 2-3, "La questione nazionale dopo la decolonizzazione") "una rilettura del principio di autodecisione dei popoli", alla luce sia della nuova epoca storica (fine del bipolarismo, "globalizzazione" anche finanziaria, crisi dell'assetto interstatuale sortito dalla II guerra mondiale e dalla decolonizzazione), sia della multietnicità della maggioranza degli stati teatro delle più gravi crisi di fine secolo (i secessionismi africani, ma anche, in questo quadro, i Balcani e l'Est Europa). Inoltre si è occupato, come membro del Comitato Scientifico "Intemigra" (un progetto internazionale diretto dalla Regione Abruzzo), e come Direttore scientifico e Coordinatore dell' ODEG - Osservatorio contro le discriminazioni etniche e di genere, progetto internazionale finanziato dall'UE e che ha coinvolto (anni 1999-2001) quattro Università Europee, del problema dell'immigrazione, proponendo anche in questo caso una revisione ponderata della "sociologia dell'immigrazione ‘facile'" e della questione delle "identità" e delle "differenze", e cercando di collegare la questione immigrazione - oltre una visione immediatistico-microsociologica - agli scenari di crisi internazionali, con particolare riferimento ai Balcani e al Curdistan. Attualmente svolge un corso su "I conflitti in Africa e Medio Oriente dopo la fine del bipolarismo", presso l'Università di Teramo, tema che è stato oggetto anche (attraverso una selezione degli scenari di crisi) di un seminario presso la SIOI; ed è impegnato in un progetto di ricerca sulla questione chiave – da un punto di vista non solo giuridico, ma anche politico e diplomatico – dei due Tribunali internazionali operanti in Africa, quello di Arusha (Ruanda) e quello della Sierra Leone. Collaboratore di diverse testate giornalistiche sin dagli anni Ottanta e Novanta (Paese sera, Corriere della Sera, Gr RAI direttore Gianni Raviele, RadioRaitre di Enzo Forcella - ciclo di trasmissioni sulla storia dell’Africa - Panorama, Espresso, L’Ora, Il Centro, La Sicilia, La Stampa,etc.) e più recentemente delGR-RAI, RAI-news 24, Il Terzo Anello, L'Eco di Bergamo, ha scritto numerosi saggi per riviste specialistiche italiane e straniere (Politique Africaine, Le monde diplomatique, Limes, Studi Piacentini, Politica Internazionale, Africa, Africana, Estudia Africana, Rivista di Storia contemporanea, Giano, Marxismo oggi, Euntes Docete). Fra i suoi libri, Saggi di Storia Africana (Milano 1996), L’etnia fra invenzione e realtà (Torino 1999), Storia dell’Africa (Milano 1999), e L’Africa alla periferia della Storia (Napoli 1993, Parigi 1995), premio cultura Presidenza del Consiglio 1996. I suoi ultimi lavori sono i volumi La favola multietnica. Per una critica della sociologia dell’ “immigrazione facile”, Harmattan, Torino 2002, con prefazione di Umberto Melotti che qui si allega; Msiri e il capitano Bodson. Colonialismo yeke e colonialismo europeo nel Katanga dell'Ottocento, Aracne, Roma 2003; Lamerica. Ideologie e realtà dell’immigrazione, Aracne, Atti del Convegno, Roma 2004, e un libro di prossima pubblicazione sul Tribunale penale internazionale per il Ruanda.
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