martedì 7 marzo 2017

8 MARZO: Rispediamo al mittente le offese alle donne

8 MARZO
Rispediamo al mittente le offese 
alle donne

 Bibbia CEI, Qoelet (ex Ecclesiaste) VII, 26
"Trovo che amara più della morte è la donna, tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso." 

Bibbia, Levitico
"Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l'immondezza mestruale. Se uno ha un rapporto con una donna durante la sua immondezza mestruale e ne scopre la nudità, quel tale ha scoperto la sorgente di lei ed essa ha scoperto la sorgente del proprio sangue; perciò tutti e due saranno eliminati dal loro popolo."

Bibbia, Levitico
"se una donna non vuole velarsi il capo, si tagli i capelli! Ma, se per una donna è vergognoso tagliarsi i capelli o essere rasata, si copra col velo. L'uomo invece, non deve velarsi, essendo egli immagine e riflesso di Dio; mentre la donna è riflesso dell'uomo."

San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, XIV, 34-35
"Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare, stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea." 

San Paolo, Lettera agli Efesini
"Le donne siano soggette ai propri mariti come al signore, perché il marito è il capo della donna, come Cristo è il capo della chiesa."

San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, XI
"L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio, la donna invece è gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna,ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza."

Sant'Odone di Cluny
"Se gli uomini potessero vedere quel che si nasconde sotto la pelle, la vista delle donne causerebbe solo il vomito. Se rifiutiamo di toccare lo sterco anche con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare una donna, creatura di sterco?"

Sant'Agostino, Sulla Concupiscenza, Libro I, cap.10
"Non può esserci dubbio che è più consono all'ordine della natura che l'uomo domini sulla donna, piuttosto che la donna sull'uomo. Questo è il principio che emerge quando l'apostolo dice, "La testa della donna è l'uomo" e, "Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti". Anche l'apostolo Pietro scrive: "Sara obbediva ad Abramo, chiamandolo padrone"

San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, Suppl., q.39, art.1
"dato che la donna è in uno stato di soggezione, segue che una donna non può ricevere gli Ordini sacramentali."

Sant'Agostino
"Le donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo. Dovrebbero, in realtà, essere segregate poiché sono loro la causa di orrende ed involontarie erezioni di uomini santi."

San Giovanni Crisostomo
"La donna è male sopra ogni altro male, serpe e veleno contro il quale nessuna medicina va bene. Le donne servono soprattutto a soddisfare la libidine degli uomini."

Tertulliano, teologo cristiano
"La donna è un tempio costruito su una cloaca. Tu, donna, sei la porta del diavolo. E' a causa tua che il figlio di Dio ha dovuto morire, tu dovrai fuggire sempre in gramaglie e coperta di cenci."

Corano, Sura IV, 34
"Ammonite quelle di cui temete l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, picchiatele."

Corano, Sura IV, 15
"Se le vostre donne avranno commesso azioni infami, confinate quelle donne in una casa senz'acqua né vitto finché non sopraggiunga la morte."

Corano, Sura V, 6 
"O credenti. Quando vi accingete alla preghiera lavatevi la faccia e le mani. Se avete toccato donne e non trovate acqua, cercate della polvere pulita e passatevela sulla faccia e sulle mani." 


Giovanna Canzano - © - 2010

OTTO MARZO: TAPPE DELLE DONNE IN ITALIA E NEL MONDO, PECHINO ED EUROPA

OTTO MARZO: 
TAPPE DELLE DONNE IN ITALIA 
E NEL MONDO, 
PECHINO ED EUROPA
di
Giovanna Canzano



TAPPE PRINCIPALI DELL’EMANCIPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA 
Di Giovanna Canzano 8 marzo 2007 
1678 Lucrezia Corano, giovane di vastissima cultura (parla correntemente sei lingue ed è studiosa di teologia e filosofia), diventa, per incarico della Repubblica di Venezia, la prima professoressa universitaria. 
1758 La bolognese Anna Morandi, occupa la cattedra di anatomia all‘Università di Firenze. 
Nei moti carbonari del 1821 si distingueranno le donne chiamate in codice „giardiniere“, ma si stratta soltanto di casi isolati, in generale, nelle donne si continua a vedere solo qualcuno da destinare alla cura della casa e dei figli, da tenere lontano dalle attività politiche e sociali 1889 Viene fondato a Varese il primo sindacato femminile che difende i diritti delle tessitrici. 
1907 Entra in vigore la prima legge sulla tutela del lavoro femminile e minorile. La prima donna italiana, la torinese Ernestina Prola, ottiene la patente per la guida automobilistica. 
Maria Montessori fonda, nel quartiere popolare di S. Lorenzo a Roma, la prima „casa del bambino“. 1908 Anno di fondazione dell‘Unione di Azione Cattolica (UDACI), che cerca di opporsi alla laicizzazione della scuola e di promuovere la cultura femminile. 
1912 Sulla scia della Lega Socialista, nata agli inizi del secolo, si costituisce l‘Unione Nazionale delle donne socialiste. Da qualche tempo esule in Italia, Anna Michailovna Kuliscioff, a fianco di Filippo Turati, lavora per inserire la donna nella vita politica e affinchè lo Stato riconosca i suoi diritti. Nel „Primo Congresso delle Donne Italiane“, al quale parteciparono tanto le donne cattoliche quanto le socialiste, le ideologie e le mete, però differiscono troppo fra loro e ciascun gruppo intraprende strade differenti, perseguendo obbiettivi diversi. 
1918 Nasce la Gioventù Cattolica, destinata a formare le giovani dall‘infanzia fino ai 30 anni alla vita religiosa e sociale. 1931 Il Fascismo abolisce tutte le associazioni cattoliche e solo dopo la ferma presa di posizione di Pio XI, permetterà loro di vivere a condizione che esse abbiano solo uno scopo religioso. Tuttavia la seconda guerra mondiale, assai più della prima, porterà la donna, ad occupare anche posti di grande responsabilità civile. L‘apporto dato dalla donna alla Resistenza è stato spesso insotituibile. 
1945 Nascono il Centro Femminile Italiano (CIF) che si propone di ottenere la ricostruzione della Patria, devastata dalla guerra e impoverita già precedentemente dalla politica ambiziosa di Mussolini, attraverso la giusta valorizzazione delle risorse femminili, e l‘Unione Donne Italiane (UDI), propoaggine del Partito Comunista, che si proposne di coinvolgere attivamente le donne nella vita del Paese. Anche in Italia dopo Svezia (1866), Finlandia (1906), Norvegia (1909), Danimarca (1915), U.R.S.S. (1917), Inghilterra (1918), Stati Uniti (1920) e Francia (1945) fu riconosciuto alle donne il diritto di voto. 
1950 Viene emanata la prima legge che garantisce la conservazione del posto di lavoro per la lavoratrice madre. 1951 Angela Cingolani, democristiana, è la prima donna sottosegretario d‘Italia. 1958 E‘ approvata dal Parlamento, una legge, proposta dalla senatrice Lina Merlin (socialista), in cui sancisce la chiusura dei borde,,i, la legge che aveva lo scopo di eliminare dal Paese la piaga della prostituzione, mostra subito i suoi limiti, infatti la prostituzione delle famose „case chiuse“, si riversa nelle strade, non diminuendo affatto il giro di affari. 
1959 Nasce il Corpo di Polizia femminile. 1961 Le donne possono intraprendere senza più ostacoli la carriera della magistratura e della diplomazia. 
1963 Alle casalinghe viene riconosciuto il diritto alla pensione di invalidità e vecchiaia. 1975 Entra in vigore il nuovo Diritto di Famiglia. 1976 Per la prima volta in Italia una donna, la democristiana Tina Anselmi, assume la carica di Ministro di un settore piuttosto difficile: quello del Lavoro. 1979 Leonilde Jotti (comunista) è eletta presidente della Camera dei Deputati Italiana. La francese Simone Weil, è eletta presidente del Parlamento Europeo. giovanna.canzano@email.it

TAPPE PRINCIPALI DELL‘EMANCIPAZIONE FEMMINILE NEL MONDO 
Di Giovanna Canzano 8 marzo 2007 

1628 Papa Urbano II autorizza le suore dell’ordine delle Orsoline e delle Agostiniane a fondare scuole femminili per ovviare “all’ignoranza delle ragazze e alla corruzione dei costumi”. Negli stessi anni, la figlia adottiva di Montaigne, Marie Le Jars de Gournay (1566-1645), scrive un Trattato sull’uguaglianza degli uomini e delle donne e uno scritto Lamenti delle dame, che inquadra la sottomessa condizione femminile, anche nei ceti più nobili. 
1647 In Inghilterra Mary Astell propone la fondazione di una università femminile (poichè alle donne non è permesso frequentare le altre, esclusivo privilegio degli uomini), la proposta però fu bocciata. 1785 Sarah Timmer riesce a fondare delle scuole specializzate di istruzione tecnica, che trovano la loro collocazione alla luce dello sviluppo industriale della Nazione Inglese. 
1791 In Francia, Olympiè de Gounges prepara la „Dichiarazione dei diritti delle donne“. 1832 Ancora in Francia Marie Reine Guindorf e Désirée Véret fondano il giornale „La donna libera“, redatto esclusivamente da donne. 
1835 Nasce in Inghilterra il movimento detto delle „suffragette“, perchè chiedono che il suffraggio, cioè il diritto di voto, dia veramente universale, esteso quindi anche alle donne. 
1865-70 Due donne inglesi, dopo aver ottenuto di essere ammesse a frequentare l‘Università, conseguono la laurea in medicina. 
1866 Per la prima volta in Europa, precisamente in Svezia, la donna viene ammessa al voto. 
1871 Nasce in Francia „l‘Unione Donne“ per iniziativa di Elisabeth Dimitriev, amica di Marx. E‘ una specie di camera del lavoro che si propone di raggruppare le donne secondo le categorie lavorative. 1900 Viene approvata in Francia una legge che permette alle donne di esercitare la professione di avvocato. 
1920 Per la prima volta nella storia, una donna, Jean Tardy entra a far parte di un ministero, il Ministero del Lavoro. 1947 Viene eletta la prima donna Ministro della Francia: Madame Poins – Chapuis, che assumerà il dicastero della Sanità Pubblica. 
Nel 1945 le francesi avevano ottenuto finalmente di andare a votare. 
1963 Valentina Tereskova, russa, è la prima donna astronauta lanciata nello spazio. 
1966 Indira Gandhi diventa Primo ministro dell‘India; il fatto desta grande stupore, mai fino ad allora, una donna aveva ricoperto questo ruolo. 
1969 Golda Meir, ucraina emigrata negli Stati Uniti dalla Russia nel 1906, e stabilitasi in Palestina nel 1920, diventa Primo Ministro dello Stato di Israele.

LE POLITICHE DELL’EMPOWERMENT E DEL MAINSTREAMING 
LA CONFERENZA DI PECHINO 
a cura di Giovanna Canzano 8 marzo 2007 

La Conferenza di Pechino, tenutasi nel settembre del 1995, si è svolta in un panorama politico profondamente cambiato in seguito alla caduta del muro di Berlino, alla fine della contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica e alla crisi delle ideologie tradizionali. 
Nei paesi dell‘Europa Orientale è iniziata la difficile transizione verso la democrazia parlamentare, mentre in altre regioni, come la ex Iugoslavia, la disgregazione dello Stato-Nazione ha riportato alla ribalta i conflitti tra le vecchie etnie, sfociando in una guerra che ha provocato pesanti violazioni dei diritti umani delle donne. In questo contesto, la recessione economica ha creato instabilità politica in alcuni paesi, una pesante disoccupazione nei paesi europei e il mancato conseguimento dei traguardi di sviluppo nei paesi africani. 
Nel nostro pianeta oltre un miliardo di persone – costituito, per la stragrande maggioranza, da donne – vive in condizioni di assoluta povertà. Se si considera la presenza femminile nelle istituzioni e la loro partecipazione ai processi decisionali, si scopre che le donne rappresentano solo il dieci per cento dei legislatori eletti nel mondo e che sono largamente sottorappresentate nelle istituzioni nazionali e internazionali. 
Il Programma d‘azione adottato dalla Conferenza rappresenta un documento essenziale per comprendere la politica seguita dalle istituzioni internazionali e anche le difficoltà connesse all‘applicazione del Programma stesso, a causa delle quali si utilizzano a volte espressiioni generiche o troppo vaghe. 
Gli obiettivi prioritari del Programma di azione di Pechino sono l‘empowerment e il mainstreaming: l‘empowerment mira a ottenere l‘attibuzione di maggiore potere alle donne rimuovendo qualsiasi ostacolo si frapponga alla loro attiva partecipazione a tutte le sfere della vita pubblica e privata, e rendendo il loro intervento nei processi decisionali di natura sociale, culturale e politica più proporzionato alla loro reale consistenza numerica; con il mainsterming si intende introdurre una profonda trasformazione nella cultura di governo, inserendo la prospettiva di genere nella ‘corrente principale‚, cioè all‘interno di tutti i problemi più rilevanti, come la qualità dello sviluppo, la valorizzazione delle risorse femminili, le grandi riforme sociali.
 Nel Programma si affronta quindi il tema di una ‘condivisione‚ dei poteri e delle responsabilità che donne e uomini devono assumersi, nel privato e nel pubblico. 
L‘uguaglianza tra donne e uomini rientra nella sfera dei diritti umani e diventa una condizione essenziale per la giustizia sociale e per un progresso durevole e armonioso. Infine, si riconosce espressamente che i diritti umani delle donne comprendono il diritto a gestire la propria sessualità. Questo testo dovrebbe rendere impossibile, d‘ora in poi, parlare di diritti umani senza un‘attenzione specifica ai diritti umani delle donne. 
Il Programma d‘azione indica gli obiettivi strategici e le azioni da intraprendere nei campi più diversi: donne e povertà; istruzione e formazione; salute e ambiente; violenza e conflitti armati; economia e mass media; potere e istruzione. In effetti non si era mai visto uno sforzo così ampio e generale per impostare una politica volta a mutare in profondità il ruolo, la funzione e l‘immagine delle donne. 
La parte più nuova, che esprime i risultati di vent‘anni di studi sulle donne, è quella in cui si sottolinea l‘importanza di dare nuovi contenuti ai programmi scolastici e universitari e ai materiali didattici, dai quali devono essere eliminati tutti i pregiudizi e gli stereotipi sessisti. Vi è infine l‘obiettivo strategico di “adottare misure per assicurare alle donne pieno e paritarico accesso e partecipazione alle strutture di potere ai processi decisionali„, il quale merita un breve commento. 
Esso rappresenta infatti la conclusione di un lungo iter di riflessione, iniziato con il femminismo degli anni Settanta, che in realtà rovescia e supera le posizioni iniziali del femminismo di critica verso qualsiasi forma di potere. 
Oggi, sgombrato il campo da quelle reticenze e debbolezze iniziali che si esprimevano in sterili prese di posizioni ‘contro‚ il potere, l‘obiettivo che si affida alle donne del Duemila è quello di una consapevole e matura assunzione di potere e di responsabilità. 
Tutti gli strumenti possibili debbono essere studiati e impiegati, incluse le misure speciali di azioni positive per “raggiungere una pari rappresentanza di donne e di uomini in tutte le cariche governative e della pubblica amministrazione„. 
Quindi occorre rivedere i meccanismi elettorali per incoraggiare i partiti politici a integrare le donne nelle cariche pubbliche elettive e non elettive “in proporzione uguale e agli stessi livelli degli uomini„; effettuare monitoraggi statistici frequenti; istituire programmi di formazione sulla parità tra i sessi; assicurare equale accesso alle risorse finanziarie e umane; infine, e soprattutto, tener conto della problematica uomo-donna in tutte le politiche e i programmi, in modo che prima di prendere qualsiasi decisione se ne valuti l‘effetto sulla posizione tanto delle donne quanto degli uomini. 

Conferenza di Pechino 1995 piccola rassegna stampa di Giovanna Canzano 8 marzo 2007 

All’inizio di settembre del 1995, mentre l’Italia era in piena tangentopoli, la situazione mondiale non era meno tranquilla. 
Le donne, che per la loro conferenza avevano scelto come sede Pechino, nonostante l’enorme distanza dall’America e dall’Europa, avevano trovato anche là un clima non tanto tranquillo a causa dei problematici rapporti tra la Cina e il Tibet. Manifestavano particolarmente donne Tibetane che la Cina controlla dal 1950 reprimendo ogni autonomia. Greenpeace-Mururoa. 
Bomba in un mercato di Parigi: sfiorata la strage 4 donne ustionate. A Parigi ancora una bomba. Due gommoni beffano i francesi a Mururoa. Si avvicina l’ora del test nucleare. L’ultimo assalto di Greenpeace. Esplode la bomba nell’atollo del Pacifico nonostante le proteste ecologiste in tutto il mondo: Chirac, sfida atomica, nella notte test nucleare a Mururola, sconfitta Greenpeace. 
Oggi di Greenpeace, sono in tanti a non ricordarsi più nemmeno il nome. Guerra Balcani, svolta decisiva dopo le bombe, ora i nemici vogliono parlarsi. Conferenza di pace a Ginevra. Scatta l’ora X la NATO pronta a colpire i serbi. 
Mosca accusa l’Occidente: in missione i Tornado italiani, la NATO bombarda, altri raid aerei, castigati i serbi. Oggi sappiamo che la Jugoslavia non esiste più. Pasolini: si riparla di lui. Rushdie, il suo ultimo libro “L’ultimo sospiro del Moro”, sarà vietato in India: la maledizione continua. ONG: Comprate e vendute come merci al mercato, la piaga del traffico delle donne rapite e sfruttate al centro del forum delle Ong in Cina. 2
 Settembre 1995 Il segretario generale dell’ONU Boutros Ghali, non potrà partecipare alla Conferenza internazionale dell’ONU sulle donne, che dal 4 al 15 setrembre si svolgerà a Pechino. Il segretario dell’ONU compirà 73 anni a novembre. Sarebbe dovuto essere lui a inaugurare i lavori della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne. Il suo messaggio sarà letto da Ismat Kittani, un sottosegretario generale e consigliere di Boutros Ghali. 
4 Settembre 1995 “Si è fermata la marcia verso la parità”. L’area di Pechino dove si apre oggi la conferenza sulle donne, è carica di tensione. La lunga Marcia delle donne verso l’uguaglianza si è fermata... un congresso dominato da tanta elettricita, scriveva Maria Antonietta Macciocchi. Benazir Bhutto: una Rivoluzione senza ritorno. 
5 Settembre 1995 C’è molta confusione. La delegata per Forza Italia è Maria Alberti Casellati. C’è Tina Lagostena Bassi che è presidente della Commissione delle Pari Opportunità per il governo Dini. Le delegate italiane non sono organizzate, scontro con Susanna Agnelli che è ministro degli Esteri, osservatori lasciano la festa d’inaugurazione. 
6 Settembre 1995 E’ la giornata di Hillary Clinton che sfida i cinesi: “I diritti umani sono diritti delle donne. I diritti delle donne sono diritti umani”. Susanna Agnelli lascia Pechino per andare in Bosnia. 
7 Settembre 1995 Sono presenti anche Tina Anselmi, Silvia Costa (PPI). Patrizia Siliprandi (Lega). La sicurezza cinese lascia migliaia di delegate fuori dal teatro di Huairou, rabbia e tensione sotto la pioggia battente. Donne, una crociata americana. Hillary Clinton trionfa al Forum non governativo. La Albright: “Mai più diritti negati”. 
8 Settembre 1995 Hillary: “Sarete voi la chiave per decidere se questa conferenza andrà oltre la retorica oppure no e se davvero saprà fare qualcosa per migliorare la vita delle donne e della famiglia. Sarete voi a costringere i governi e a mantenere le promesse fatte. Madeleine Albright (ambasciatrice USA dell’ONU) si schiera dalla parte di Hillary (anche se polemica contro l’intervento di Hillary contro i cinesi), ritorna sulla questione del rispetto dei diritti umani, chiede che “nessuna donna – da Birmingham a Bombay, da Beirut a Pechino - venga costretta ad abortire o sia sterilizzata. 
9 Settembre 1995 Le “ribelle” del Forum delle ONG levano le tende (30 mila) e passano la miccia della battaglia alla Conferenza generale. Vaticano ed Europa alla scontro finale. Pechino guida il fronte degli ambigui del documento finale: accetteremo solo le “decisioni sensate”. 
Vaticano ed Europa scontro paragrafo 31 che riguarda il ruolo centrale della religione. Le donne che secondo Hillary Rodham Clinton giocheranno il ruolo chiave nel sucesso o nel disastro di una conferenza che ha mostrato una spiccata tendenza alla retorica. Che si misurerà adesso con il messaggio lanciato con forza dal Forum: quello della pace globale, una soluzione capace di rimediare alla violenza e all’emarginazione di centinaia di migliaia di donne e bambini una pace che le donne chiedono di contribuire a raggiungere nelle zone di crisi o di conflitto, partecipando in prima persona a tutte le fasi negoziali; una pace, infine, come condizione basilare per raggiungere anche gli altri due obiettivi programmatici di questa conferenza: lo sviluppo e l’uguaglianza. Pericolo pentola in ebolizione dell’universo femminile rappresentato qui in Cina, il Forum lascia spazio e responsabilità all’assemblea di Pechino. 
10 Settembre 1995. I 5 punti di Navarro Valls: 
1. Dal documento di Pechino rischia di scomparire il concetto di dignità umana. 
2. In molte trattative si vorrebbe sostituire la parola “famiglia” con quella ambigua di “famiglie”, che darebbe a qualsiasi gruppo di individui la possibilità di chiamarsi in questo modo: conviventi-divorziati con figli, coppie omosessuali compresi. 
3.Oggetto di una forte offensiva anche tutti i riferimenti a religione morale, etica e spiritualità eccetto dove appaiono con una connotazione negativa. Sono i casi degli articoli 31 “sul ruolo fondamentale della religione nella vita delle donne” e art. 107 sull’etica medica. 
4. La parola maternità è fortemente ostacolata. 
5. C’è il tentativo di cancellare i riconoscimenti ai diritti e alle responsabilità dei genitori nei confronti dei figli da passaggi fondamentali. 
Diritti che includono la scelta delle scuole e dell’insegnamento religioso. Patrick Flinn – contrappone ai 5 punti di Navarro Valls, quelli del programma europeo a dimostrazione delle buone intenzioni della missione. 
1. La lotta alla violenza. Rispetto dei diritti umani delle donne. 
2. Empowerment: avanzamento delle donne nel potere politico. 
3. Povertà: apertura alle donne delle risorse economiche. 
4. Parità: uguale partecipazione alle decisioni sia in ambito pubblico sia privato. 
5. Istruzione e sanità: eliminazione delle discriminazioni sessuali nell’accesso ai servizi pubblici. 
11 Settembre 1995 75 anni, Bella Abzug è sempre più un mito che talglia con l’accetta giudizi che trascina platee che non teme scomuniche alla 4° conferenza ONU è un pò regina un pò santa, inseguita con emozione dalle delegate, protetta baciata toccata ascoltata e applaudita. 
E’ il leader e memoria storica del movimento femminista americano e internazionale. Ieri è stata la prima a voler replicare con durezza al Vaticano, dopo la rottura con l’Unione Europea. Questo non è un confronto religioso, questa è una conferenza organizzata dall’ONU un incontro storico in cui si parla di problemi reali: di diritti umani e violenze contro le donne di lotta all’analfabetismo, uguaglianza e pari opportunità nelle decisioni che hanno a che fare con la vita e la morte, in politica ed economia. 
Andrea Purgatori l’ha intervistata: 
D. Esiste ancora il femminismo? 
R. Forse qualche giovane sostiene che il femminismo è troppo vittimista, ma non è vero. Il femminismo è un’ideologia e ciò che le donne desiderano è una società per gli uomini come per le donne, sulla base di una partecipazione egualitaria. E’ vero invece che il femminismo è cambiato nel senso che ora le donne si occuperanno di tutti i problemi, Non vogliono più solo arrivare al potere ma trasformarne la natura. E questo sta accadendo. Io vedo un movimento sempre più forte. 
D. Chi sono le future leader? 
R. Donne che abbiano ascoltato, ministri dei governi di Svezia o Uganda. Sono state, sono tante, diventano sempre di più. E il mondo sta cambiando. Il 21° secolo sarà diverso: sarà nostro. 12 Settembre 1995 Le donne si ribellano contro i doveri di madre (accudire i figli) e contro quello di moglie (accudire casa e marito). 
Angela Napoli AN – Quello che emerge dal documento è una scarsa considerazione del ruolo della donna all’interno della famiglia e grandi ambiguità sui i diritti sessuali e aborto. Si è parlato delle donne cinesi, del telefono rosa pagato dagli americani. Delle violenze che esse raccontano al telefono e dei mariti che per amore coniugale non vengono condannati, anche se tagliano le orecchie e il naso alla moglie e le cavano gli occhi. 
14 Settembre 1995 La palestinese simbolo, racconta un’esistenza rivoluzionaria, sino all’aereo zeppo di agenti israeliani. La doppia vita della guerrigliera Leila Khaledi, terrorista per un’amica, ha smesso per amore. Ora è a Pechino a lottare per i diritti di chi vive sotto occupazione. 
D. Quando ha lasciato la lotta armata? 
R. Nel 1982, quando sono rimasta incinta e mi sono sposata. Ora sono una donna e mi occupo delle donne palestinesi. Della loro identità costruita nei campi profughi, sotto le tende, sempre insieme per sopravvivere per non farsi liguidare. Mi occupo dei paragrafi del documento che riguardano i diritti delle donne che vivono sotto occupazione. Oggi 1995, vive ad Amman, ha un marito medico e due figli, è membro del consiglio nazionale paestinese tra i banchi del FPIP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) è un’avversaria di Arafat e della “pace sventuta”, non ha l’aria di chi teme per la propria pelle. 
15 Settembre 1995 La donna non è solo considerata uno strumento di riproduzione della specie. Ecco quali sono stati i punti di maggior frizione e come sono stati risolti: Diritti Umani: l’impegno preso da Hillary Clinton è mantenuto. La Dichiarazione di Pechino riconosce che tutti i diritti umani sono diritti della donna. 
Sessualità: la donna ha diritto di rifiutare qualsiasi rapporto sessuale anche con il marito. Il principio che il suo corpo appartiene a lei sola, apre la strada ad una implicita giustificazione dell’aborto (depenalizzato) e della contraccezione. Il Vaticano metterà una riserva. 
Famiglia: la donna smette di essere la “regina del focolare” una responsabile dell’andamento della casa. E l’uomo viene chiamato a dividere le fatiche domestiche per permettere così alla donna di realizzarsi professionalmente. 
Religione: Ne viene riconosciuta l’importanza ma si denunciano gli effetti negativi degli integralismi. Risorse: La spuntano i Paesi in via di sviluppo, ma anche quelli ricchi. I finanziamenti aggiuntivi che il Terzo Mondo è riuscito a farsi promettere nella piattaforma non verranno dalle tasse di americani o europei, ma dall’iniziativa privata. 
Proprio come già deciso, sei mesi fa a Copenaghen. Debito: Era una delle battaglie del Vaticano. La Santa Sede ne vorrebbe l’azzeramento per il Giubuileo dell’anno Duemila. Nella Piattaforma come nella dichiarazione però le parole si fanno algide: si riconosce la necessità di un’aggiustamento strutturale del debito internazionale. Viene affermato che il diritto d’accesso alla trasmissione del patrimonio e dei diritti di successione non deve dipendere dal sesso. 
I paesi mussulmani, dove le sorelle hanno per legge coranica una percentuale di eredità inferiore ai fratelli, eleveranno una riserva. Armi: si condanna ed è la prima volta, il traffico e la produzione di armi come ostacolo alla sviluppo. Le riserve verranno probabilmente anche da Paesi occidentali. Parità: viene riconosciuta la necessità di azione concreta per eliminare le discriminazioni sessuali nell’educazione e nell’accesso alla sanità e al potere politico. 
La sentenza della corte costituzionale italiana sulle “quote” nelle liste elettorali dovrà essere rivista. E’ la politica dell’empowerment, la costruzione di un potere femminile che viene invocato. 
16 Settembre 1995 I cinesi sostengono che per una marcia di mille miglia, occorre comunque compiere il primo passo. E, il passo è stato fatto. Tina Anselmi: risultao garantito. 
Documento Primo: Libertà sessuale e diritto all’autodeterminazione. 
Secondo: condanna di ogni prevaricazione basata sul sesso: molestie, prostituzionem pornografie, schiavitù, violenza provocata da razzismo o estremismo religioso o antireligioso. 
Terzo: riconoscimento delle libertà di scelta individuali e di coppia per quanto riguarda l’aspetto della riproduzione. 
Quarta: condanna dello stupro come arma. Riconoscimento della violenza sessuale come violazione dei diritti umani soprattutto in zona di guerra. 
Quinto: rispetto dei diritti umani delle bambine. L’aborto non è mai menzionato, viene condannato solo come metodo di contraccezione. Il problema degli omosessuali non è citato, vengono inclusi nella libertà sessuale. Andrea Nicastro ha intervistato Betti Friedan: 
D. Qual’è il prossimo obiettivo femminista? 
R. L’economia. Voglio vedere una rete mondiale di donne dietro le scrivanie che contano nelle banche. Il controllo del credito aprirà a milioni di altre le porte dell’indipendenza economica e quindi individuale. La possibilità per la donna di aprire attività imprenditoriali anche piccole, creerà lavoro e farà uscire le famiglie dalla povertà.

LA COMUNITA’ EUROPEA E LA PARITA’ NELLA POLITICA 
a cura di Giovanna Canzano 8 marzo 2007 “

Considerando le difficoltà intrinseche di affrontare una politica per i diritti delle donne, le resistenze che incontra e il fastidio che provoca, bisogna riconoscere alla Comunità il grande merito di avere fatto della parità tra donna e uomo un serio principio ispiratore della sua politica, anche se gli ostacoli incontrati fanno sorgere qualche perplessità non solo sulla reale volontà degli Stati membri, ma anche sulla capacità delle istituzioni paritarie nazionali a coglierne tutte le implicazioni e a richiederne l’applicazione integrale”. 
La comunità Europea ha svolto un ruolo insostituibile nell’impostare una politica per la parità negli Stati membri. Per alcuni versi si tratta di una politica senza precedenti, poichè dagli anni Ottanta per la prima volta si è cercato un approccio globale alla questione femminile attraverso l’elaborazione di una serie di programmi di azione contenenti indicazioni per interventi sia nel campo lavorativo e professionale, sia nel privato dalla custodia dei bambini alla condivisione del lavoro domestico. In realtà questi Programmi di azione, così poco conosciuti, non sono stati recepiti nella loro ampia portata, per lo meno in Italia, ma applicati solo formalmente, per quel che era indispensabile nei confronti dell’Europa. 
Considerando le difficoltà intrinseche di affrontare una politica per i diritti delle donne, le resistenze che incontra e il fastidio che provoca, bisogna riconoscere alla Comunità il grande merito di avere fatto della parità tra donna e uomo un serio principio ispiratore della sua politica, anche se gli ostacoli incontrati fanno sorgere qualche perplessità non solo sulla reale volontà degli Stati membri, ma anche sulla capacità delle istituzioni paritarie nazionali a coglierne tutte le implicazioni e a richiederne l’applicazione integrale. 
Tuttavia, senza la funzione di stimolo della Comunità non vi sarebbe stata alcuna legislazione paritaria e neppure la creazione delle istituzioni nazionali per la parità che, con tutti i loro limiti, costituiscono comunque una innovazione nel panorama politico tradizionale e il primo tentativo di impostare una politica complessiva per l’equaglianza uomo-donna. La situazione attuale è peraltro ben diversa dal clima politico di fine Ottocento. 
Come rilevò Anna Maria Mozzoni nel 1877, la legislazione e le istituzioni politiche erano allora in ritardo rispetto all’evoluzione delle idee e dei costumi. Oggi, invece, esaminando i principi e i valori ispiratori dei programmi europei, bisogna ammettere che questi sono in anticipo rispetto alla mentalità generale e alle persistenti distinzioni di ruolo. Uno dei primi provvedimenti presi, che legittimò ampiamente l’attività della Comunità, fu l’articolo 119 del Trattato di Roma del 1957, in cui si proclamava il principio della parità di stipendio in conformità al lavoro svolto. 
L’introduzione di questo principio, secondo la giurista belga Eliane Vogel-Polsky, mirava più a impedire illecite concorrenze nell’uso della manodopera da parte dei vari paesi della Comunità che a sostenere la parità stessa. Tuttavia, tale principio ha costituito l’inizio di un lungo cammino del diritto comunitario, che man mano ampliato il suo intervento dal tema della parità retributiva all’equaglianza delle opportunità, per giungere alla richiesta di incrementare la partecipazione delle donne nei processi decisionali, considerata requisito indispensabile di una democrazia. La politica della Comunità in questo settore si può seguire attraverso l’analisi dei quattro Programmi di azione finora elaborati (1982-1985, 1986-1990, 1991-1995 e 1996-2000). Nel primo, redatto sotto l’influenza dei movimenti femministi degli anni Settanta, venivano considerati prioritari i problemi dell’occupazione e del lavoro.La crisi economica degli anni Ottanta e l’incipiente rivoluzione telematica facevano temere che le ripercussioni di tali fenomeni si facessero sentire solo sulle donne, traducendosi in una riduzione dei posti di lavoro e dei servizi collettivi per l’infanzia. 
Questo Programma si articolava in due parti: nella prima si incoraggiavano le azioni positive, ancora allo stadio iniziale; nella seconda si suggerivano interventi per sviluppare i congedi parentali al fine di realizzare la parità tra coniugi nella famiglia. Nel campo lavorativo, i primi tre Programmi di azione facevano rilevare l’urgenza di definire giuridicamente i principi della “discriminazione indiretta” e della “retribuzione uguale per un lavoro di valore uguale”. Un quadro giuridico coerente e realmente operante era la condizione essenziale per colmare il divario, tuttora esistente, tra gli obblighi di legge e la prassi quotidiana degli Stati membri. 
Per lo più disattese sono state le indicazioni contenute nel secondo Programma (1986-1990) riguardanti l’istruzione e la formazione. Si tratta di un settore, estremamente importante per l’eliminazione degli stereotipi legati al sesso e per la formazione di una classe dirigente femminile, e tuttavia ancora oggi si può uscire dalla scuola o dalle facoltà universitarie non solo ignorando le problematiche della parità, ma anche nozioni oggettive sull’evoluzione giuridica e politica della condizione femminile nel nostro paese. Nel terzo Programma d’azione (1991-1995) si nota un deciso spostamento dell’attenzione dai problemi del lavoro a quelli politici e finanziari. La politica per la parità tende a perdere il suo carattere specifico e limitato per assumere una connotazione più ampia, presentandosi come una componente essenziale delle politiche economiche e sociali della comunità. Viene formulato un primo abbozzo concetto del maistreaming. Si richiede con insistenza una maggiore presenza femminile negli organismi decisionali, nelle assemblee elettive, nel governo e nelle pubbliche istituzioni. In questo periodo (1991) la Commissione cominciò a finanziare la lobby europea delle donne e nel 1993 costituì una nuova rete dedicata alle donne nei processi decisionali. 
Anche il Consiglio d’Europa ha fin dagli anni Ottanta avviato ricerche e studi con il coinvolgimento di studiose ed esperte di vari paesi. 
Nell’analisi del comportamento politico delle donne in Europa, si evidenziava il fatto che la cosidetta ‘apatia’ politica delle donne rappresentava invece l’incapacità delle forze politiche a recepire le istanze femminili. La scarsa partecipazione femminile e il basso numero delle elette derivavano dal mondo con cui si era definito il ‘corpo politico’, dai sistemi elettorali e dai partiti politici. I politologi e gli storici, che detenevano il monopolio della ‘politica’, avevano arbitrariamente definito ‘apolitiche’ molte attività femminili, come quelle svolte nelle associazioni femminili, le quali, anche se storicamente hanno, occupato uno spazio marginale nel sistema, nella maggior parte dei casi hanno invece avuto un importante ruolo di ‘laboratorio’ politico. Basti ricordare che molte associazioni femminili del XIX secolo contribuirono con la loro attività filantropica e sociale a favore di alcolizzati, emarginati, prostitute e ragazze madri a mettere a a fuoco i problemi sociali del tempo e a individuare alcune delle strutture che avrebbero assunto grande importanza nello Stato sociale. 
Nel 1988 si tenne a Strasburgo la prima Conferenza ministeriale europea sull’eguaglianza tra donne e uomini nella vita politica. Il 16 novembre 1988 venne adottata da tutti i ministri dei paesi membri del Consiglio d’Europa un’importante dichiarazione la quale, nonostante lo scarso rilievo riservatole dai mezzi d’informazione, rappresenta una delle prime dichiarazioni ufficiali programmatiche degli Stati europei nel campo della politica per la parità. In essa si affermava che l’uguaglianza degli uomini e delle donne è un principio rilevante per i diritti della persona e che tale principio è una condizione essenziale della democrazia. L’anno seguente si svolse, sempre a Strasburgo, un’importante seminario del Consiglio d’Europa nel quale si gettarono le basi per il tema che sarebbe diventato centrale negli anni seguenti: quello della democrazia paritaria. La novità dell’impostazione risulta evidente in quanto il problema viene posto non più nell’interesse della condizione femminile, ma come completamento necessario della democrazia europea. 
Il quarto Programma d’azione (1996-2000) è stato redatto dopo le conclusioni della Conferenza di Pechino e costituisce – a mio avviso- il contributo finora più completo alla promozione di una politica di parità e al tentativo di coinvolgere tutte le parti sociali interessate, cioè la Commissione, gli Stati membri e le organizzazioni femminili non governative. Il principio base, ormai acquisito, è che le pari opportunità per le donne e gli uomini e la lotta contro la disoccupazione costituiscono il compito principale dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. 
Il punto di partenza è l’acquisizione del principio, elaborato – come si è detto – nella Conferenza di Pechino, del maistreaming, cioè dell’inserimento della tematica delle pari opportunità per le donne e gli uomini in tutte le politiche e gli interventi. Il piano propone delle linee di azione per le pari opportunità in tutti i settori della vita pubblica e privata: nel lavoro, nell'’struzione, nell'’equa partecipazione ai diversi livelli decisionali e nella corresponsabilità nella vita privata. 
Il limite del Programma di azione è tuttavia quello di poter solo “appoggiare gli sforzi” degli Stati membri. La parità di trattamento e la parità di opportunità tra le donne e gli uomini, si afferma, è un elemento integrante della democrazia europea. Viene fatto esplicito riferimento alla strategia interdisciplinare degli women’s studies, strategia che potrebbe costituire un modello per l’inserimento in tutti i settori politici delle tematiche della parità, delle quali si lamenta lo sviluppo diseguale e la difficoltà di istituzionalizzazione negli Stati membri. 
Al problema della scarsa presenza femminile ai vari livelli decisionali viene dato particolare rilievo nel quarto Programma di azione, nel quale si afferma che “l’ineguale presenza delle donne negli organi rappresentativi, amministrativi e consultivi, nei mass media, nel mondo della finanza, nella magistratura e nella pubblica amministrazione, segnala un deficit di democrazia e delegittima in parte tali istituzioni”. 
Il principio della parità deve portare a una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni e negli organi decisionali, nella certezza che essa porterà “a un rinnovo di valori, idee e stili di comportamento di cui potrà avvantaggiarsi l’intera società”. 
Nel Convegno di Atene venne firmata una dichiarazione (novembre 1992) nella quale, constatando ancora una volta la sottorappresentanza femminile, si chiedeva una serie di misure per giungere a una “distribuzione equilibrata del potere pubblico e politico tra donne e uomini”. Superfluo rilevare che la mancata diffusione di notizie sui media ha impedito un ampio dibattito pubblico e che, in Italia, vi è stata una totale indifferenza riguardo al tema della condivisione del potere. 
Nella Conferenza europea sul tema “Le donne per il rinnovamento della politica e della società” (Roma, maggio 1996) si giunse alla firma della Carta di Roma, sottoscritta da 15 ministri di 13 Stati. La Carta conteneva un appello per il rinnovamento della politica e della società, per la condivisione del potere e delle responsabilità fra donne e uomini e una dichiarazione di impegno a mantenere come prioritario l’obiettivo dell’uguaglianza tra uomini e donne nell’Unione Europea. 
Il principio del mainsreaming doveva diventare l’essenza della cittadinanza europea. Il 2 dicembre 1996, il Consiglio d’Europa adottava una Raccomandazione sulla partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini ai processi decisionali; in tale Raccomandazione si invitavano gli Stati membri ad adottare una strategia globale per raggiungere tale risultato attraverso le misure ritenute più idonee, quali provvedimenti legislativi o “incitativi”. 
Il solenne impegno delle Carte di Atene e di Roma venne infine reiterato nella Conferenza di Parigi (15-17 aprile 1999) in concomitanza con un’occasione certamente storica: la decisione del governo francese di introdurre una modifica degli artt. 3 e 4 della Costituzione che consentisse di adottare, senza il timore di incostituzionalità, le misure legislative necessarie per promuovere la parità tra donne e uomini nelle assemblee elettive e nelle funzioni politiche. Il tema della parità è stato così inquadrato nella prospettiva di un rinnovamento della democrazia europea e del sistema rappresentativo che implichi la partecipazione reale delle donne a tutti i livelli della vita politica. 
(8 MARZO 2007-18:30) 

CLAUDIO MUTTI

Libertà di ricerca ostacolata: 
fanatismo fondamentalista
Giovanna Canzano
 intervista
Claudio Mutti 
18/05/2007

Alla fase della secolarizzazione e della “morte di Dio” è dunque seguita, nel ciclo della “civiltà occidentale”, una fase di rievangelizzazione all’insegna di una parodistica religione postmoderna che è stata chiamata religio holocaustica. Si tratta di una religio (nel senso lucreziano e oraziano di “superstizione”) … … … per cui non abbiamo più un “avanti Cristo” e un “dopo Cristo”, ma un “prima di Auschwitz” e un “dopo Auschwitz”. (Claudio Mutti)

CANZANO – Permettere la libera ricerca, fare aprire gli archivi smettendola con la storiografia asservita all’ideologia, non crede che è l’unico modo per scoprire oltre alla verità sull’olocausto, anche altre verità che in questi anni non ci è stato permesso di occuparci? 

MUTTI – Nel caso degli eventi che nel corso della seconda guerra mondiale coinvolsero gran parte della popolazione ebraica d’Europa, a ostacolare la libera ricerca non è un semplice pregiudizio ideologico, ma un vero e proprio fanatismo fondamentalista. Lo stesso uso generalizzato di un termine appartenente al lessico rituale come appunto “Olocausto” (con la maiuscola obbligatoria) rivela che è stata imposta una visione parateologica della storia; d’altronde l’uso del termine ebraico Shoah (maiuscola parimenti obbligatoria) chiarisce con sfacciata evidenza la matrice di tale parateologia. Alla fase della secolarizzazione e della “morte di Dio” è dunque seguita, nel ciclo della “civiltà occidentale”, una fase di rievangelizzazione all’insegna di una parodistica religione postmoderna che è stata chiamata religio holocaustica. Si tratta di una religio (nel senso lucreziano e oraziano di “superstizione”) che ha i suoi particolarissimi martiri e santi, i suoi miracolati, la sua agiografia, i suoi luoghi di pellegrinaggio e addirittura un suo specifico criterio di scansione della storia, per cui non abbiamo più un “avanti Cristo” e un “dopo Cristo”, ma un “prima di Auschwitz” e un “dopo Auschwitz”. Non saranno certo i leviti e gli zeloti di questa religio a permettere di “scoprire altre verità”, in quanto “altre verità” non possono esistere. La storiografia dunque potrà liberamente indagare i fatti storici, solo se all’oscurantismo imposto dai nuovi teologi saprà opporre uno spirito illuministico e il coraggio dell’iconoclastia.

CANZANO – Daniel Jonah Goldhagen con il suo libro I volonterosi carnefici di Hitler afferma che i responsabili dell’Olocausto non furono solo SS o membri del Partito Nazista, ma anche tedeschi comuni, che brutalizzarono e assassinarono gli ebrei per convinzione ideologica e per libera scelta. 

MUTTI – La nota tesi dell’ebreo americano Goldhagen, secondo cui gli “ordinary Germans” sarebbero diventati “Hitler’s willing executioners”, non dice sostanzialmente nulla di nuovo, in quanto si ricollega, aggiornandola in termini olocaustici, ad un vecchio filone propagandistico ebraico-statunitense inteso a demonizzare la Germania. Tra tutta la vasta letteratura esistente, mi limito a ricordare il libro di Paul Winkler The Thousand Years Conspiracy: Secret Germany behind the Mask, che, distribuito da Roosevelt negli ambienti politici e da Eisenhower in quelli militari, diffuse la convinzione secondo cui “il nazismo non è una teoria nuova sorta dalle ingiustizie del Trattato di Versailles o da una crisi economica, ma è espressione delle aspirazioni tedesche di tutti i secoli”. Anticipando la curiosa teoria di Umberto Eco circa l’Urfaschismus, Winkler insegnava agli Statunitensi che i Tedeschi sono nazisti – e quindi criminali –ab illo tempore, se non ab aeterno. Il programma genocida esposto in Germany must perish e nel Piano Morgenthau furono le logiche conseguenze di questo razzismo antitedesco coltivato da alcuni agit-prop ebreo-americani. Goldhagen, dunque, è solo l’ultimo arrivato.

CANZANO – Ancora Goldhagen, dice che l’antisemitismo germanico era talmente diffuso, maligno, nutrito nei secoli di miti razzisti e false teorie scientifiche da disumanizzare gli ebrei, da trasformarli nell’immaginario collettivo in una sorta di malattia, addirittura di forza demoniaca che si doveva eliminare a ogni costo dalla Germania.

MUTTI – Goldhagen non merita che per lui si spendano troppe parole. Lo stesso Raul Hilberg ha liquidato il suo libro come una cosa “di nessun valore”; per Norman G. Finkelstein si tratta di una “bizzarria” che “sfiora il ridicolo”, in quanto, “nonostante sfoggi l’apparato di un saggio accademico (…) si riduce a poco più di un campionario di violenza sadica”. I volenterosi carnefici di Hitler, insiste Finkelstein, è “zeppo di grossolano errori di interpretazione delle fonti e di contraddizioni interne, (…) è privo di valore scientifico”. Resta comunque il fatto che la tesi di Goldhagen è largamente diffusa tra i pii credenti della religione olocaustica: è la tesi secondo cui l’insofferenza per gli Ebrei costituisce una pura patologia mentale dei Tedeschi e dei Gentili in genere, in quanto gli Ebrei sono sempre e dovunque povere vittime innocenti. Ma, per citare ancora Finkelstein, “nel concedere una totale innocenza agli ebrei, il dogma dell’Olocausto conferisce a Israele e alla comunità ebraica americana l’immunità da ogni legittima censura”. 

CANZANO – Se tutti sapevano e condividevano lo sterminio degli ebrei, come mai non si è trovato nessun documento firmato da Hitler sullo sterminio e, nel bunker di Hitler non ne sapevano niente neanche la sua dattilografa Junge Traudl, né un alto ufficiale della Wehrmacht a lungo attivo nel gabinetto del Furer? 

MUTTI – In effetti non esiste nessun documento che dimostri un ordine o un piano generale di sterminio degli Ebrei d’Europa. Bisogna comunque far notare che gli archivi della Bauleitung di Auschwitz (l’ufficio responsabile della costruzione delle presunte camere a gas di Birkenau) sono caduti intatti nelle mani dei Sovietici. Nessuno vi ha potuto trovare un solo documento relativo ad un piano di sterminio. L’obiezione secondo cui i documenti non esistono perché gli ordini sarebbero stati dati oralmente e i pochi documenti esistenti sarebbero stati distrutti, non si regge su nessuna prova.

CANZANO – Gli intellettuali ebrei come Marx e Freud solo per citarne due hanno portato nella cultura occidentale delle idee che contrariamente a quando si poteva pensare, hanno creato confusione e allontanamento da quelli che sono i nostri ‘valori’ e la nostra ‘tradizione’, mentre loro sono sempre e comunque legati alla loro memoria vedi il libro di David Grossman “L’uomo che corre” dove la ricerca della identità è legata comunque alla storia di essere ebrei e alla memoria del popolo ebraico.

MUTTI – Il problema consiste proprio nell’individuare l’identità del presunto “popolo ebraico”. Gli ebrei non costituiscono una comunità religiosa: ci sono ebrei atei o agnostici (lei stessa ha citato Marx e Freud), ebrei che praticano il giudaismo, ebrei convertiti ad altre religioni. Non costituiscono un gruppo nazionale: ci sono ebrei statunitensi (sei milioni come minimo), ebrei israeliani, ebrei canadesi, ebrei francesi ecc. ecc. Non sono un gruppo linguistico: ci sono ebrei che parlano inglese, altri che parlano francese, tedesco, ungherese, romeno, russo ecc.; gli unici che parlino una lingua semitica sono quelli che, trasferitisi in Palestina, hanno imparato quella sorta di neoebraico che è la lingua ufficiale dell’entità sionista. (E ciò, tra parentesi, dovrebbe indurci a riflettere sul concetto di “antisemitismo”. Se sono semiti coloro che parlano lingue semitiche, ne risulta che la stragrande maggioranza degli ebrei non sono semiti. E allora che significa propriamente “antisemitismo”?) Tanto meno, gli ebrei sono una razza: ci sono ebrei bianchi (tra i quali gli askenaziti sembrerebbero trarre origine per lo più da un popolo turanico, i Cazari), ma anche negri e gialli. Secondo un’interpretazione di scuola marxista, infine, si tratterebbe del residuo di un “popolo-classe” che ha conservato la propria unità grazie a un complesso di funzioni sociali ed economiche del tutto particolari; ma è evidente che non tutti gli ebrei hanno esercitato attività usurarie. Questa impossibilità di reperire un criterio sul quale fondare l’identità ebraica, dunque, ha fatto sì che molti ebrei abbiano cercato le loro radici identitarie ispirandosi al mito biblico e rielaborandolo in maniera interessata, producendo insomma quello che con terminologia kerényiana potremmo chiamare un “mito tecnicizzato”.

CANZANO – Con la liberazione sono stati creati due nuovi reati d’opinione: l’apologia del fascismo e il vilipendio della resistenza, oggi con Mastella e il caso di Irving questi tipi di reati sono in aumento. Cos’altro ci si può aspettare per il futuro per ‘imbavagliare la ricerca storica’?

MUTTI - Sono infatti ben note le persecuzioni di cui sono oggetto i revisionisti e i ricercatori rei di violare i dogmi del Pensiero Unico. Dal 1981 ad oggi il prof. Faurisson passa da un tribunale all’altro; Ernst Zuendel è stato condannato a cinque anni di carcere “per aver negato l’Olocausto”; Jurgen Graf è stato costretto all’esilio; David Irving è stato in galera un anno per aver tenuto un discorso; e l’elenco potrebbe continuare con decine e decine di casi verificatisi in tutto il “libero Occidente”. Che cos’altro ci si può aspettare? La continuazione della caccia alle streghe darà luogo ad altre condanne detentive, a nuove misure di licenziamento (come nei casi Michel Adam, Vincent Reynouard ecc.), a bolle di scomunica come quella emessa qualche giorno fa dagli inquisitori Gattegna & Mantelli contro l’eretico prof. Claudio Moffa, ad ammende astronomiche, a minacce, ad aggressioni (come accaduto a Faurisson), ad attentati contro le librerie (vedi Librairie du Savoir), a eliminazioni fisiche (vedi François Duprat). Assisteremo probabilmente anche ad un rilancio dei metodi psichiatrici di repressione, come ci induce a ritenere il recente caso del prof. Pallavidini, per il quale un ispettore scolastico ha richiesto una “visita collegiale”; ed anche alla ripresa dei roghi dei libri, come lascia presagire l’arsione di 20.972 esemplari di vari “libri proibiti” decretata da un tribunale di Barcellona su istanza del Centro Simon Wiesenthal e di “SOS-Razzismo-Spagna”. Temo insomma che abbia ragione Robert Faurisson, quando afferma che il futuro è luminoso per il revisionismo, ma oscuro per i revisionisti.

CHI E' MUTTI – Claudio Mutti è laureato in Filologia Ugrofinnica all’Università di Bologna. Si è occupato dell’area carpatico-danubiana sotto il profilo storico (A oriente di Roma e di Berlino, Effepi, Genova 2003), etnografico (Storie e leggende della Transilvania, Oscar Mondadori, Milano 1997) e culturale (Le penne dell’Arcangelo. Intellettuali e Guardia di Ferro, Società Editrice Barbarossa, Milano 1994; Eliade, Vâlsan, Geticus e gli altri. La fortuna di Guénon tra i Romeni, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1999). (Per ulteriori dati bibliografici, si veda il sito informatico www.claudiomutti.com). Il suo interesse per il revisionismo risale agli anni Ottanta, quando pubblica per i tipi dell’editrice La Sfinge (Parma) una decina di studi di Carlo Mattogno e di altri storici revisionisti. Per le Edizioni all’insegna del Veltro (da lui fondate nel 1978) ha curato la pubblicazione del Rapporto Leuchter e di due libri di Robert Faurisson. Insegna lettere in un liceo classico di Parma.

CLAUDIO MOFFA

I “negazionisti” dei “negazionisti”
Giovanna Canzano
intervista
Claudio Moffa
24/06/2007

CANZANO – Allora, il 19 giugno a Controcorrente, su Sky, c’è stata una significativa svolta per la vicenda Faurisson …

MOFFA - Direi proprio di sì. Al di là della solita arroganza di qualcuno, il passaggio più significativo è stato quando Nicola Tranfaglia ha accettato l’idea di un contraddittorio pubblico con Faurisson: smentiti dunque i “negazionisti” dei “negazionisti”. Non si può continuare a tacere, chi– come Tranfaglia – vuole veramente battere il revisionismo olocaustico è opportuno che si cimenti in un dibattito pubblico. E discutere fa sempre bene, a tutti …

CANZANO – Come ci si è arrivati nella trasmissione?

MOFFA - La puntata è iniziata sul caso Priebke, in studio Tranfaglia ed io, in teleconferenza il prof. Faurisson e Victor Magiar della Comunità ebraica romana. Poi a un certo punto è uscito fuori il tema della libertà di espressione, e si è passati alla vicenda di Teramo e a Faurisson. Magiar ha attaccato frontalmente lo studioso francese, ma se l’è presa anche col master e col mio invito, sostenendo che ero stato unilaterale, e che non avrei proposto il contraddittorio. Ho replicato snocciolando i nomi di tutti gli studiosi, storici ed esponenti della comunità ebraica da me invitati, citando fra gli altri Sarfatti, Pisanty e Pezzetti, e dicendo che per un motivo o per l’altro (Sarfatti all’inizio, prima ancora che avessi pensato ad invitare Faurisson) non erano voluti venire. E’ stato a questo punto che Tranfaglia ha detto che se avessi invitato lui, lui sarebbe venuto a Teramo. Ho “rilanciato”, e l’ho invitato per il prossimo anno ad un contraddittorio con Faurisson. Ha accettato: mi pare una svolta positiva per tutti, compresi gli storici antinegazionisti, che alla fine se insistono a rifiutare ogni confronto, rischiano di perdere la faccia. Non leggo nessuna indulgenza in Tranfaglia, solo un atteggiamento corretto e responsabile di storico e di intellettuale.

CANZANO - Andiamo all’inizio di questa vicenda. Quando è nata l’idea di fare il master in Medio Oriente e parlare dell’olocausto?

MOFFA – Il master Enrico Matteo Medio Oriente è un master multidisciplinare che tratta di storia, politica internazionale, culture e religioni, economia, diritto e informazione. Il corso dura in tutto trecento ore, di cui 120 di lingua araba e 180 appunto di argomenti multidisciplinari: nulla di più normale è stato dunque dedicare un po’ di spazio anche al tema dell’Olocausto, ivi compreso il revisionismo sull’argomento, e non solo per il noto convegno di Teheran – emblema dell’uso politico dell’olocausto anche da parte iraniana – ma più in generale per il ruolo svolto dal dogma olocaustico in tutta la storia di Israele dalla fine della II guerra mondiale ad oggi. Come ricordano Norman Finkelstein e Tom Segev, l’olocausto è utilizzato da Israele per avere una patente di impunità riguardo alla violazione del diritto internazione almeno a partire dal ’67. Inizialmente, secondo il programma caricato sul sito fin dal dicembre 2006, era prevista una settimana intera dedicata a “il medio oriente e l’olocausto”. Nei fatti, alla questione sono state dedicate teoricamente quattro ore (la lezione di Thion, e quella, però saltata, di Faurisson) più un convegno della durata complessiva di 16 ore spalmate su tre giorni - “La storia imbavagliata” - ma di carattere prevalentemente giuridico, e con una forte presenza di storici e studiosi anti Faurisson.

CANZANO – Perché questo titolo?

MOFFA – Perché in tutta Europa si vanno affermando leggi liberticide che pretendono di imporre una “verità di stato” protetta dal codice penale su alcuni eventi chiave del secolo passato: non c’è solo l’Olocausto, c’è anche il genocidio armeno – la cui negazione e la cui affermazione sono condannate rispettivamente in Francia e in Turchia: assurdo!! – e ci sono, nella repubblica ceca i “crimini del comunismo” la cui negazione è appunto punita. Ecco l’imbavagliamento della storia. Dai giuristi che hanno partecipato al convegno, come Ainis e Sinagra è venuto fuori il dato allarmante di una tendenza totalitaristica strisciante, resa ancora più pericolosa dalla spada di Damocle dal mandato di cattura europeo. Dentro questo quadro generale, sicuramente il negazionismo gioca un ruolo notevole, perché la legge colpisce soprattutto questa tendenza storiografica. Se per ipotesi è totalmente infondata e propagandistica, oppure se ci possono essere degli appigli di parziale verità o comunque c [testo troncato nel sito]

CANZANO – Perché continuare ad usare il termine olocausto o shoa?

MOFFA – Siamo di fronte ad un fatto storico, che da alcuni viene interpretato o in chiave religiosa, da cui il termine come la shoa e l’olocausto che ricorda il sacrificio della vittima a Dio, o con finalità politica. A parlare di queste cose sono gli studiosi a livello di Finkelstein da me invitato per primo in Italia, a Teramo nel 2002, dove lui parlò per la prima volta di un’industria dell’olocausto. Neppure Faurisson che riduce drasticamente le cifre fino a 150.000 gli ebrei morti nei campi di concentramento, che sono comunque una cifra enorme orribile, nega lo sterminio degli ebrei.

CANZANO – Allora l’aggressione che avete subito non è giustificata?

MOFFA - Quelli che ci hanno aggredito non sono dentro questo meccanismo. C’è un clima di intossicazione creato dalla stampa, che dice quasi sempre le stesse cose ed emargina le voci dissenzienti. Alcune testate hanno raccontato su Teramo fatti completamente diversi da quelli effettivamente svoltisi, omettendo e falsificando i dati. C’è poi un clima generale che riguarda la stessa comunità ebraica italiana e l’intellettualità ad essa vicina. Fino all’82, esisteva una dialettica fra sionisti e antisionisti, ricordo uno studioso come Guido Valabrega, una giornalista come Livia Rokach di Repubblica, o altre voci dentro il vecchio PCI. Oggi tutto è cambiato: il martellamento della stampa, la politica di recupero dei vertici della comunità ebraica italiana, hanno portato alla formazione di generazioni che sono sempre allineate con Israele, qualsiasi cosa faccia, e che accrescono di anno in anno la loro attenzione e la loro “memoria” degli eventi della II guerra mondiale. Il rischio è sfociare in una sorta di ossessione mistica religiosa. Faccio un esempio, prendersela con Faurisson perché avrebbe “negato il lutto” di qualcuno, intendo dire di qualche specifica famiglia di deportato ben individuabile con nome e cognome, come ha scritto su Repubblica una persona di solito intelligente come Michele Serra, è un’assurdità, oltre che una sorta di istigazione a reiterare quanto accaduto a Teramo: la riduzione drastica del numero delle vittime dello sterminio di ebrei nei lager, operata da Faurisson - giusto o sbagliato che sia - non comporta certo automaticamente l’esclusione dal nuovo computo del deportato Tizio o della deportata Caia. Per cui la reazione ossessiva alle tesi dello studioso francese e degli altri “negazionisti”, non riguarda affatto i sentimenti individuali offesi, ma il dogma dell’Olocausto: uno sterminio di ebrei che sarebbe avvenuto secondo modalità e quantità ormai “accertate” per sempre: 6 milioni di ebrei, uccisi con le camere a gas. E’ accettabile un dogma da un punto di vista storiografico? In realtà la storiografia è revisione continua: uno storico serio deve valutare tutte le fonti e ascoltare tutte le voci: e un coordinatore di master, anche se non è esperto di questo o quell’argomento, può proporre agli studenti con pieno diritto voci diverse su uno stesso argomento: senza che questo voglia dire condividerle.

CANZANO – Perché la venuta di Faurisson in Italia ha dato così tanto fastidio?

MOFFA – C’è il fatto oggettivo di uno studioso inviso alle comunità ebraiche europee. Ma di Faurisson hanno in qualche modo approfittato coloro cui comunque il master ha sempre dato fastidio, fin dal suo inizio: in realtà il primo attacco al corso di studi intitolato a Enrico Mattei risale nientemeno che al 16 novembre del 2005, giorno in cui il sito di un tal Institut for Jewish History di Londra, ha pubblicato l’articolo di un allora collaboratore del Foglio di Ferrara, Emanuele Ottolenghi, che, parlando dell’antisemitismo in Italia, mi dedicava sedici righe per un articolo datato … 2001. Come mai tanto ritardo, fino alla data in cui scadevano le domande di iscrizione alla prima edizione del master? Quelle sedici righe poi erano e sono piene di menzogne, come ho documentato sul sito: Ottolenghi mi attribuiva infatti fra virgolette frasi tratte dal Corriere della Sera o da altri giornali, e scriveva “according to Moffa”, invece che citare le mie fonti; sosteneva poi che queste consistevano in “unquoted articles”, cosa non vera vista le date dei giornali citati, il titolo dell’articolo e l’autore. Insomma, un attacco preventivo nella speranza che il master fallisse alla prima edizione, perché mi conoscevano come un “pericoloso” intellettuale e giornalista libero, che non ha paura di affrontare i problemi spinosi. Poi il secondo attacco, all’inizio della seconda edizione: un convegno su Medio Oriente e Mass media colpevole di aver ospitato giornalisti controcorrente come Blondet e Fini, e soprattutto gli ambasciatori iraniano e siriano; e ancora di più colpevole per aver dato la parola in quella stessa settimana anche a Dan Vittorio Segre, e per aver invitato l’ambasciatore israeliano. Per i settori oltranzisti filoisraeliani ciò è inconcepibile: per essi, quello che è effettivo pluralismo di un corso di studi, diventa inaccettabile “legittimazione” del Nemico. Un Nemico che per loro è da annientare, non da interloquire o affrontare in un dibattito civile. Ritengo che proprio questa apertura del master sia stata la causa di tante reazioni isteriche: un master a cui sono state ripetutamente invitati esponenti e intellettuali della comunità ebraica italiana come Renzo Gattegna, Marcello Pezzetti del Centro di documentazione ebraica, Valentina Pisanty autrice del libro “le irritanti questioni delle camere a Gas”, o Furio Colombo. Tutti a parlare di assenza di contradditorio al master, e contemporaneamente a rifiutare l’invito che, se accettato, avrebbe reso possibile il contraddittorio stesso. In un crescendo di isteria, fino al 18 maggio …

CANZANO – … Il giorno dell’aggressione a lei, a Faurisson e alle forze di polizia: per concludere, qual è il suo giudizio sui fatti di Teramo?

MOFFA – Ci sono tanti aspetti. Quello che sottolinerei più di altri è questo: in Italia non esiste per fortuna una legge liberticida come la francese Gayssot-Fabius. Ma ecco che all’occorrenza si scatena la violenza di piazza, che finisce per creare un problema di presunto “ordine pubblico”, e dunque per impedire nei fatti la libertà di insegnamento, di parola e di pensiero. A Teramo è andata così: la legge non ci poteva impedire né la conferenza né la lezione di Faurisson all’Università. E’ stata la piazza ad imporre la sua “legge”, scavalcando il Parlamento sovrano: la legge della violenza. Non è certo una cosa edificante per lo stato di salute della democrazia nel nostro paese.

CURRICULUM Claudio Moffa, è professore ordinario di Storia ed Istituzioni dei Paesi afroasiatici presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo. Come studioso, saggista e notista di problemi internazionali, si è occupato in particolare, sia da un punto di vista politologico che (per quel che riguarda in particolare l'Africa) etno-antropologico, delle seguenti aree di crisi, prima e soprattutto dopo la fine del bipolarismo Est-Ovest: Medio Oriente: Iraq, conflitto israelo-palestinese (fin dal suo primo libro, La resistenza palestinese, Roma 1976), Afghanistan. Africa: tutta, e in particolare Etiopia-Eritrea (due libri: Etiopia dietro la trincea, Milano 1978, e La rivoluzione etiopica Testi e documenti, Urbino) e Somalia; Ruanda e Burundi (conflitto tutsi-hutu) e Regione dei Grandi laghi, Zaire-Congo e "prima guerra mondiale africana", Sierra Leone, Costa d'Avorio, Liberia, Nigeria, Zimbabwe, Sudan, Angola, Namibia, Sudafrica. Quanto alle problematiche "traversali" si è occupato diffusamente del "fattore etnico" in Africa, della "questione nazionale" nell'età postcoloniale e postbipolare, e della sua proiezione giuridica, il "principio di autodecisione dei popoli", proponendo già nel 1988 (Quaderni Internazionali n. 2-3, "La questione nazionale dopo la decolonizzazione") "una rilettura del principio di autodecisione dei popoli", alla luce sia della nuova epoca storica (fine del bipolarismo, "globalizzazione" anche finanziaria, crisi dell'assetto interstatuale sortito dalla II guerra mondiale e dalla decolonizzazione), sia della multietnicità della maggioranza degli stati teatro delle più gravi crisi di fine secolo (i secessionismi africani, ma anche, in questo quadro, i Balcani e l'Est Europa). Inoltre si è occupato, come membro del Comitato Scientifico "Intemigra" (un progetto internazionale diretto dalla Regione Abruzzo), e come Direttore scientifico e Coordinatore dell' ODEG - Osservatorio contro le discriminazioni etniche e di genere, progetto internazionale finanziato dall'UE e che ha coinvolto (anni 1999-2001) quattro Università Europee, del problema dell'immigrazione, proponendo anche in questo caso una revisione ponderata della "sociologia dell'immigrazione ‘facile'" e della questione delle "identità" e delle "differenze", e cercando di collegare la questione immigrazione - oltre una visione immediatistico-microsociologica - agli scenari di crisi internazionali, con particolare riferimento ai Balcani e al Curdistan. Attualmente svolge un corso su "I conflitti in Africa e Medio Oriente dopo la fine del bipolarismo", presso l'Università di Teramo, tema che è stato oggetto anche (attraverso una selezione degli scenari di crisi) di un seminario presso la SIOI; ed è impegnato in un progetto di ricerca sulla questione chiave – da un punto di vista non solo giuridico, ma anche politico e diplomatico – dei due Tribunali internazionali operanti in Africa, quello di Arusha (Ruanda) e quello della Sierra Leone. Collaboratore di diverse testate giornalistiche sin dagli anni Ottanta e Novanta (Paese sera, Corriere della Sera, Gr RAI direttore Gianni Raviele, RadioRaitre di Enzo Forcella - ciclo di trasmissioni sulla storia dell’Africa - Panorama, Espresso, L’Ora, Il Centro, La Sicilia, La Stampa,etc.) e più recentemente delGR-RAI, RAI-news 24, Il Terzo Anello, L'Eco di Bergamo, ha scritto numerosi saggi per riviste specialistiche italiane e straniere (Politique Africaine, Le monde diplomatique, Limes, Studi Piacentini, Politica Internazionale, Africa, Africana, Estudia Africana, Rivista di Storia contemporanea, Giano, Marxismo oggi, Euntes Docete). Fra i suoi libri, Saggi di Storia Africana (Milano 1996), L’etnia fra invenzione e realtà (Torino 1999), Storia dell’Africa (Milano 1999), e L’Africa alla periferia della Storia (Napoli 1993, Parigi 1995), premio cultura Presidenza del Consiglio 1996. I suoi ultimi lavori sono i volumi La favola multietnica. Per una critica della sociologia dell’ “immigrazione facile”, Harmattan, Torino 2002, con prefazione di Umberto Melotti che qui si allega; Msiri e il capitano Bodson. Colonialismo yeke e colonialismo europeo nel Katanga dell'Ottocento, Aracne, Roma 2003; Lamerica. Ideologie e realtà dell’immigrazione, Aracne, Atti del Convegno, Roma 2004, e un libro di prossima pubblicazione sul Tribunale penale internazionale per il Ruanda.

LUCA CODIGNOLA

Censurare la storia per legge: 
le conseguenze storiografiche
Giovanna Canzano
intervista
Luca Codignola
18/07/2007

CANZANO - "Il negazionismo messo al bando per legge, chiude agli studiosi la possibilità di inoltrarsi in documenti o testimonianze che fino in quel momento erano chiusi in archivi o 'dimenticati' per paura nelle menti di chi li ha vissuti in prima persone?" 
CODIGNOLA - Nella sua definizione più specifica, "negazionismo" ha il significato di "negazione degli atti criminali compiuti dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei immediatamente prima e durante la Seconda Guerra Mondiale da parte di studiosi che negano la validità della prove documentarie che dimostrano tali crimini". Se il "negazionismo" venisse messo al bando per legge, cioè se agli individui venisse impedito di sostenere pubblicamente, a voce o per scritto o per via di altri mezzi di comunicazione, le tesi che stanno alla base del negazionismo, non credo che di per sé lo studio della storia (che si basa su documenti e testimonianze) verrebbe ostacolato, tanto sono evidenti le prove che tali crimini sono effettivamente avvenuti e tanto è carente l'analisi storica degli stessi negazionisti. La messa al bando per legge del negazionismo avrebbe però tre effetti fondamentali. Il primo è che i negazionisti stessi potrebbero continuare a sostenere di non poter rendere noti i fatti sui quali baserebbero le loro tesi. Il secondo effetto è che potrebbe effettivamente essere che, su alcuni casi specifici, i negazionisti abbiano portato alla luce o possano portare alla luce elementi fattuali che, per qualsiasi motivo, sono stati finora negati. Il primo caso che viene alla mente a me, che non sono storico contemporaneista, è quello del maltrattamento dei prigionieri di guerra ex-nazisti da parte delle truppe alleate dopo la fine della guerra, sul quale so che esistono opinioni divergenti. Un altro caso è quello, relativo all'Italia, dei massacri delle foibe, delle vendette personali post-25 aprile 1945, o delle guerre fratricide all'interno della sinistra durante la guerra e immediatamente dopo, negate per decenni dalla vulgata resistenziale e solo recentemente ammesse da tutti, anche se fino a tempi recentissimi questo fatti erano stati patrimonio soltanto della destra ex-fascista o pro-fascista. Il terzo effetto, che è per me di gran lunga il più importante, è che se si comincia a negare il diritto di parola di chicchessia su un qualsiasi tema, si rischia di aprire la porta a infinite richieste di censura su altri fatti storici, dando mandato ai giudici dei tribunali o agli uomini politici del momento, e sulla base di principi etici di parte o di semplice convenienza, di stabilire che cosa è vero e che cosa non sia vero di quanto è accaduto nel passato, ciò che per ora soltanto gli storici sono in grado di fare grazie al loro metodo professionale, pur essendo gli stessi storici ben consapevoli dei limiti anche enormi che esistono nel loro lavoro. Per non fare che i primi esempi che vengono alla mente: si potrà ancora studiare la schiavitù africana e dire che questa esisteva ben prima dell'arrivo degli europei? Si potrà dire bene della scoperta dell'America e affermare che l'incontro tra indiani ed europei ha portato ai primi molti svantaggi, ma anche molti vantaggi? 
CANZANO - Sono d'accordo con te, ma, come già si è verificato, aprendo gli archivi, molto spesso ci si è trovati di fronte a fatti completamente diversi da come erano stati 'descritti' da persone che dicevano di aver vissuto in prima persona quei momenti e, come potrebbero reagire gli storici o i politici fronte a nuovi 'fatti', visto che per anni avevano affermato un'altra versione? 
CODIGNOLA - Ho passato la vita a lavorare in archivio e continuo a farlo, a dimostrazione del fatto che credo moltissimo nella ricerca archivistica quale base del lavoro di qualsiasi persona, storico o non, che voglia indagare il passato e conoscere quanto è "veramente" successo. Proprio questa lunga frequentazione degli archivi mi ha però sempre più convinto che la ricerca e l'eventuale ritrovamento del documento unico e sensazionale è alla lunga molto meno interessante e importante della lunga sedimentazione dell'insieme della documentazione. E che in questo senso i percorsi professionali di giornalisti e i politici, che in generale lavorano sull'attualità, e degli storici, che all'opposto lavorano sul contesto e sul lungo periodo, spesso divergono. Faccio un esempio: se oggi trovassimo la prova che ci dia la certezza del luogo del primo sbarco americano di Cristoforo Colombo nel 1492 (che non conosciamo ancora), un giornalista ne farebbe un titolo da prima pagina e i politici loca li ne approfitterebbero per innalzare un nuovo monumento al navigatore (o più probabilmente per organizzare un luogo di protesta permanente contro i colonizzatori europei). Ma per gli storici questa nuova verità rappresenterebbe poco di più di una nota a pié di pagina, visto che ciò che davvero conta non è il nome della spiaggia, ma è piuttosto il contesto generale dell'incontro tra europei e indiani d'America, che ormai conosciamo bene grazie all'amplissima documentazione disponibile e alla lunga riflessione che se ne è fatta. Naturalmente, più si va verso il presente e più si ha a che fare con persone ancora in vita, o che comunque sono morte da poco, più il singolo documento può assumere una valenza "sensazionale": vedi per esempio tutto il clamore che ha fatto e che continua a fare l'antica adesione dello scrittore tedesco Günter Grass al regime nazista, o la collaborazione con la polizia segreta del regime comunista dell'arcivescovo di Varsavia Stanislaw Wielgus, o i compromessi con il regime ai quali si assoggettò il giornalista polacco Ryszard Kapuscinski. In realtà spesso tale documentazione diventa "sensazionale" proprio perché viene avulsa dal contesto storico in cui è nata. Inoltre, anche a livello personale, qualsiasi persona è soggetta in vita a un percorso di mutamento, per cui a livello etico non si può imputare a una persona un'opinione o anche un'azione che è stata posta in essere nel passato (il discorso naturalmente è diverso per quanto riguarda la punibilità legale di certe azioni, per le quali conta l'applicazione della legge, non la moralità dell'azione stessa). Sono dunque favorevole alla massima apertura della documentazione archivistica, nei limiti posti dalla legge, e ritengo che per ora la legislazione statunitense sia in questo senso all'avanguardia, poiché riesce a trovare il punto di equilibrio tra il diritto del cittadino che vuole conoscere il proprio passato e quello del cittadino che vuole salvaguardare la propria sfera privata. Ritengo anche che in questo momento l'Italia presenta su entrambi i fronti l'esempio pessimo da non seguire: non consente al cittadino di studiare il proprio passato a causa di leggi restrittive e liberticide, e non protegge il cittadino che vuole difendere la propria sfera privata consentendo la pubblicizzazione di documentazione riservata addirittura a processi giudiziari in corso. Se poi la ricerca archivistica facesse venire alla luce documentazione nuova e contraria a quanto fino ad allora sostenuto dai protagonisti, gli storici seri non potranno che prenderne atto e modificare le loro opinioni e le loro affermazioni. È peraltro quanto gli storici seri hanno sempre fatto ed è quanto il loro mestiere richiede loro di fare. Coloro che hanno finora basato le loro opinioni su documentazione insufficiente (o hanno mancato di dire quali erano i limiti della loro conoscenza) sono altrettanto professionalmente colpevoli quanto coloro che rifiutano di mutare le loro opinioni quando una nuova documentazione dovesse mostrarne gli errori. CANZANO - La Commissione Parlamentare per il caso del Dossier Mitrokhin, dopo quattro anni, con tutti i documenti originali consultati, ha prodotto solo la morte per avvelenamento con un isotopo radioattivo di Alexander Litvinenko e la carcerazione di Mario Scaramella (da pochi giorni agli arresti domiciliari), quante possibilità ci possono essere, che, dagli archivi e dai dossier scomodi possa in qualche modo venire una 'nuova' lettura della storia? 
CODIGNOLA - Non sono in grado di giudicare i risultato della Commissione Mitrokhin, anche se mi pare quantomeno affrettato saltare alla conclusione che se non ci fosse stata la Commissione Alexander Litvinenko sarebbe ancora vivo e Mario Scaramella non sarebbe stato accusato. Ciò che mi pare salti agli occhi è la lettura tutta politica che dei lavori di quella commissione è stata fatta in Italia. Si è passati dal silenzio totale su quei lavori, alla derisione e allo scetticismo verso coloro che vi erano coinvolti, dalle dichiarazioni sull'incapacità del suo presidente, il senatore e giornalista Paolo Guzzanti, fino appunto quasi a sostenere che le colpe stessero tutte nella Commissione, e non, eventualmente, nelle persone sulle quali la Commissione indagava e nei fatti in cui essi erano coinvolte, nella fattispecie la loro collaborazione, a diversi livelli, con i regimi comunisti dell'Est europeo. Insomma, tutti avevano già giudicato tutto prima, durante e subito dopo i lavori della Commissione Mitrokhin, senza peraltro avere alcuna idea della natura e della veridicità della documentazione in esame. In generale, sono anche in questo caso favorevole al fatto che la documentazione integrale della raccolta dalla Commissione Mitrokhin debba essere messa a disposizione dei cittadini secondo quanto consente la legge, e che gli storici debbano studiarla e valutarla per quel che vale applicando a essa i principi della loro metodologia professionale. Purtroppo ancora una volta in Italia la legge è in questo senso estremamente restrittiva e non consente tale pubblicizzazione. Idealmente, bisognerebbe prima cambiare la legge, adeguando la stessa al modello statunitense, e poi aprire gli archivi della commissione. Agire in modo diverso significherebbe, una volta di più, favorire l'uso anarchico, sensazionalista e personalista della documentazione, e mettere a repentaglio il giusto equilibrio tra la ricerca della verità storica e il rispetto della sfera privata del cittadino. 
CANZANO - Ritornando alla prima domande, cosa ne pensa delle teorie dei negazionisti sull'olocausto? 
CODIGNOLA - Non ho mai studiato né il periodo della Seconda Guerra Mondiale né le teorie negazioniste in merito, quindi francamente ho ben poco da dire riguardo alla sua domanda, se non che la libertà di informazione che esiste nel mondo occidentale ha consentito sul tema dello sterminio degli ebrei la circolazione di una documentazione così vasta, e un così ampio dibattito, che mettere in discussione il fatto che tale sterminio ci sia stato è francamente insostenibile e non dimostra altro che cecità mentale, colossale ignoranza e fanatismo politico. Il fatto che poi le cifre o le modalità di tale sterminio possano essere ancora modificate o meglio conosciute non incrina affatto la certezza che tale sterminio sia storicamente avvenuto. Con tutto ciò, proprio la libertà che ha permesso di arrivare a una tale certezza deve consentire a chi lo voglia di affermare il contrario, in qualsiasi luogo e circostanza, così come a chiunque deve essere consentito di dire che le Torri Gemelle di New York le hanno abbattute i servizi segreti israeliani, che in Afghanistan si stava meglio quando comandavano i Talebani, che l'uomo non ha mai messo piede sulla Luna, e che la terra è piatta.

BIOBLIOGRAFIA Luca Codignola-Bo ha studiato a Roma (Laurea 1970) e a Toronto (MA 1974), ed è stato insignito di un dottorato honoris causa della Saint Mary's University di Halifax (2003). È attualmente professore ordinario di Storia delle Istituzioni delle Americhe presso l'Università di Genova. Ha precedentemente insegnato a Bologna e a Pisa. All'estero è stato visiting professor a vario titolo presso numerose università, tra le quali, negli ultimi anni, Laval (2000, 2004), Brown (2001), Toronto (2002, 2004, 2006), Minnesota (2002, 2003), Londra (2002), e Saint Mary's (2007). Storico modernista, Codignola ha soprattutto lavorato nel campo della storia dell'espansione del cattolicesimo nell'area nord-atlantica a partire da scavi archivistici svolti soprattutto a Roma, ma anche a Londra, Dublino, Parigi e Québec. Tale prospettiva lo ha portato a occuparsi del movimento di espansione europea in generale, dal Quattrocento all'inizi dell'Ottocento, e a riesaminare alcune fonti particolarmente signific ative nel campo della storia delle scoperte e delle esplorazioni (Colombo, Verrazzano, Champlain, van Heemserk). In anni più recenti ha esaminato le fonti archivistiche di alcune città italiane (Genova, Livorno, Torino, Venezia, Trieste, Napoli) per una storia delle relazioni mediterranee e atlantiche di queste città, soprattutto relativamente alle loro reti commerciali e consolari, fino alla prima metà dell'Ottocento. Codignola ha una lunga esperienza di gestione di organismi associativi e di ricerca nazionali e internazionali. Già Direttore del Centro di Ricerca in Studi Canadesi e Colombiani dell'Università di Genova, dopo avere fondato e diretto un centro di ricerca simile a Pisa, è attualmente Segretario Generale del Centro Studi "Paolo Emilio Taviani" sulle Relazioni Internazionali dal Medioevo all'Età Moderna. È o è stato presidente del Comitato Italiano per la Storia Nordamericana, dell'Associazione Italiana di Studi Canadesi, dell'International Council for Canadian Studies, della Association internationale des études acadiennes. È inoltre attualmente rappresentante del CNR presso lo Standing Committee for the Humanities della European Science Foundation. Il suo curriculum vitae e l'elenco delle sue pubblicazioni sono disponibili al sito .