martedì 7 marzo 2017

CLAUDIO MOFFA

Il caso Pallavidini: intervista al Professor Claudio Moffa
Giovanna Canzano 
intervista
Claudio Moffa
30/09/2007

Il caso scoppio’ il 26 gennaio 2007 nel liceo classico Cavour di Torino: alle 8 di mattina una studentessa fa una domanda al prof. Renato Pallavidini sulla “giornata della memoria”, e l’insegnante cade nella trappola: risponde quello che pensano centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, israeliani compresi, e decine di milioni in tutta Italia (vedi alcuni recenti sondaggi), e cioè che Israele usa l’Olocausto per giustificare la sua politica genocida contro i palestinesi. Pallavidini ci mette in mezzo anche l’ignobile aggressione al Libano – le bombe all’uranio impoverito, le decine di palazzi di Beirut rase al suolo dai raid aerei israeliani, il bombardamento sul funerale -  e poi, dopo dieci minuti al mas simo spesi per legittimamente rispondere ad una legittima domanda di una studentessa, prosegue col normale programma.
Ma scoppia il putiferio: sono solo due i genitori della classe di Pallavidini a protestare (uno è Elena Lowenthal), ma l’aggancio con la stampa locale e nazionale è micidiale: Pallavidini viene mezzo linciato, e accusato di tutto l’armamentario “antisemita”. L’Ufficio scolastico territoriale si muove con una rapidità da blitz antisequestro, sottopone a immediato interrogatorio il docente e poi, di passaggio in passaggio zeppo di irregolarità, lo deferisce nientemeno che a una commissione medico-legale di tipo anche psichiatrico. Come in un gulag! Pallavidini però è sanissimo di mente, e questo accerta ovviamente la Commissione attivata dalla nemico numero uno del professore, la preside Clelia Zanini, una vecchia storia di mobbing, dispetti e gelosie forse do vuta alla prolifica attività di scrittore del suo subalterno.
Tutto finito dunque? Niente affatto, quella vittoria morale dopo mesi di linciaggio mediatico e di persecuzione non è bastata. Il 26 settembre scorso infatti, il Consiglio di Disciplina del Ministero della Pubblica istruzione – formato dalla Presidente De Giacomo, e dagli insegnanti Arcadipane, Cormino, Velati, ha interrogato il docente, e all’inizio della seduta la rappresentante dell’Ufficio scolastico regionale piemontese Pessano ha chiesto la sospensione del professore. Pallavidini è stato difeso durante l’audizione da Claudio Moffa, in veste di avvocato, al quale abbiamo rivolto alcune domande sul caso che lui stesso, fin dal gennaio scorso, aveva denunciato dal suo sito www.claudiomoffa.it .

CANZANO -  Qual ‘è il bilancio dell’adunanza del Consiglio di Disciplina del 26 settembre?
Avv. MOFFA -  “E’ stata una conferma di certo pregiudizio nei confronti del prof. Pallavidini, a cominciare dai reiterati tentativi di interrompermi quando ho preso la parola, come se dopo tutto quello che è successo e che si è scritto sulla stampa, parlare 20 minuti anziché un quarto d’ora illustrando tutte le irregolarità e gli atteggiamenti persecutori dell’Ufficio del Piemonte e della Dirigente della Cavour, fosse indifferente ai fini della contestualizzazione dell’evento sotto ispezione, cioè una banale risposta – ho ricordato ai consiglieri non solo Norman Finkelstein, ma anche un articolo del quotidiano Haaretz dove una giornalista ebrea esprimeva lo stesso concetto di strumentalità dell’Olocausto argomentato da Pallavidini nella sua classe – ad una domanda di una studentessa sulla “giornata della memoria”.

CANZANO - Come ha risposto Pallavidini agli addebiti?

Avv. MOFFA - Anche qui c’è stata una irregolarità. Pallavidini mi aveva detto che non avrebbe voluto intervenire, e in effetti avrebbe potuto rispondere alle domande di rito ex art. 112 del dpr 3/1957 con la classica formula “mi rifaccio a quanto esposto per iscritto”, ma nei fatti lo hanno costretto a rispondere oralmente contra legem, ad articolare le sue risposte, a spiegare, solleticando le domande di sapore inquisitorio di quelli che peraltro sono suoi colleghi di lavoro. Inquisitorio, perché oggetto del procedimento sono state e sono le idee personali del docente. Un consigliere ha letto la frase “incriminata” tratta dalla relazione dell’ispettore Favro e poi ha provato nei fatti, non distinguendo, a far dire al professore che lui confermava tutto, anche il commento dell’ispettore.  Un altro era incuriosito dagli accenni di Pallavidini, che insegna filosofia, a Kant, segno da una parte di un procedimento che pretende di investire e indagare le idee e le elaborazioni concettuali  del docente, e dall’altra anche del fatto che i consiglieri hanno capito che avevano di fronte un collega preparato, colto, autore di diverse pubblicazioni non a caso apprezzate anche al di fuori della scuola da intellettuali e accademici: uno di quelli che la scuola dovrebbe premiare e valorizzare anziché perseguitare, come è successo invece al liceo Cavour, per iniziativa della Preside Zanini, per intervento di Elena Lowenthal e per scatenamento dell’Ufficio scolastico regionale, grazie alla penna facile e omissiva fino alla menzogna dell’ispettore Favro.

CANZANO - Perchè questo giudizio duro sull’Ufficio scolastico del Piemonte?

Avv. MOFFA - Il comportamento dell’Ufficio scolastico de Piemonte è  veramente inquietante. Cito solo alcuni fatti: primo, la rapidità dell’ispezione. Come ho scritto nella memoria depositata agli atti: “nel caso mediaticamente e in se’ comunque drammatico di Rignano Flaminio, l’ispezione è stata disposta dal ministro in data 20 novembre 2006, e si è effettivamente svolta 50 giorni dopo (9 gennaio 2007); nel caso mediaticamente drammatizzato del professor Pallavidini, l’ispezione è stata avviata 2 giorni dopo e si è conclusa in 6 giorni”: anzi in 3 giorni lavorativi, se si esclude il week end.
Secondo, manco è partita l’ispezione e già il dottor Antonio Catania dell’Ufficio scolastico del Piemonte, in data 1 febbraio (ma la sua dichiarazione al giornale è del 31 gennaio, ovviamente) anticipa a la Stampa la condanna da infliggere a Pallavidini, “tre mesi di sospensione anziché sei”, peraltro ignorando o facendo finta di ignorare che una sospensione di questa entità spetta al Ministero e non all’Ufficio periferico.  
Terzo, Favro ha un solo mandato dal suo capo ufficio, come risulta dalla lettera di incarico del 31 gennaio 2007, e cioè  quello di una “visita ispettiva in relazione ai fatti riportati dagli organi di stampa riguardanti le affermazioni del prof. Pallavidini Renato”: ma si allarga di molto, perché la sua relazione è un atto accusatorio nei confronti del professore dal quale nei fatti emerge un tentativo di annientamento professionale e psicologico a tutto campo, dai registri alla sua presunta incapacità a insegnare. Un’accusa ridicola e diffamante.
Ed ecco allora il terzo punto, i tagli sistematici operati dal Favro ai giudizi  di un concorso universitario cui aveva partecipato Pallavidini alcuni anni fa: me li faccia dire uno per uno, dottoressa Canzano, non mi interrompa come ha cercato di fare la Presidente De Giacomo  quando li ho puntualmente citati, me li faccia dire perché le omissioni di Favro sono semplicemente scandalose.
Dunque, l’ispettore prende i giudizi sulla lezione del candidato Pallavidini dei commissari del concorso, e taglia in ognuno di essi le seguenti frasi: “l’esposizione è chiara ed efficace”; “La sua esposizione è chiara, ordinata e didatticamente efficace”; “il candidato svolge la lezione con efficacia didattica e opportuni riferimenti”. Capisce? Si vuole distruggere Pallavidini, il giorno stesso della sua lettera di incarico Favro si è precipitato a scuola per interrogarlo senza registratore, senza testimoni, non lo trova, e allora ritorna il giorno dopo e la prima cosa che gli chiede, al Pallavidini reo di aver espresso in classe una sua opinione sulla Giornata della memoria, sono le sue idee politiche. Inaudito. Quello di Favro è stato un atteggiamento segnato da forti pregiu dizi, il suo lavoro è rapidissimo: la relazione è già pronta il 7 febbraio, redatta in tre giorni lavorativi. A Rignano, ripeto – e lì il problema, era un vero o presunto caso di pedofilia – ci hanno messo 50 giorni solo per attivare l’ispezione.

CANZANO-  Ma la frase scandalo è stata solo quella sulla Giornata della Memoria?

Avv. MOFFA - No, un altro tema è stato quello del bombardamento israeliano sul Libano, di cui sul rapporto Favro si legge che per Pallavidini “è stato il peggiore atto criminale compiuto dal Governo di Tel Aviv, e le milizie di Hezbollah, lungi dall’essere una formazione terrorista, erano un esercito partigiano di popolo che ha fermato sul terreno l’esercito israeliano”: anche qui, rozzificazione a parte, siamo nel campo delle ovvietà. E’ da notare infatti che gli stessi concetti sono stati espressi da giornalisti e opinionisti di tutto il mondo, e per quel che riguarda il giudizio degli Hezbollah come movimento di liberazione, non solo dalla Lega araba nel 2002, ma anche dall’ONU – la distinzione fra terrorismo e movimenti di liberazione corrisponde in effetti allo spirito e alla lettera della Carta delle Nazioni Unite, che riflette i principi di libertà diffusi nell’età della decolonizzazione – nonché dal ministro D’Alema e dai politologi più seri.


CANZANO -  E adesso che succederà?

Avv. MOFFA - Il Consiglio di disciplina probabilmente cercherà, irregolarmente, di mettere le toppe all’irregolarità dell’ispezione Favro, che è andata al di là del suo mandato allungando la lista degli addebiti anche a questioni altre che le affermazioni di Pallavidini in classe. Come non lo so, forse sostenendo che sugli addebiti aggiuntivi (registri, etc.) non esistono prove. Dato il clima, resterà invece probabilmente in piedi l’addebito principale, quello relativo all’opinione di Pallavidini in classe: legittima, al di là di improprietà e defaillances verbali di un docente reso peraltro nervoso dal pregresso clima di mobbing ai suoi danni, ben documentabile e ben documentato. 
E’ sicuramente una situazione grave, è in gioco la libertà di insegnamento garantita dall’art. 33 della Costituzione: nella mia difesa, ho insistito sul fatto che è assolutamente inaccettabile pensare che i professori delle scuole superiori possano insegnare la storia contemporanea e i suoi eventi contraddittori e drammatici, secondo contenuti di programmi e di idee stabiliti collettivamente, o peggio che mai dalla Preside. E’ pazzesco: la libertà di insegnamento vuol dire permettere a tutti i singoli docenti, di qualsiasi orientamento ideologico siano, di dire la loro, argomentatamente come Pallavidini ha sempre fatto, su eventi come le foibe, come Auschwitz, come l’esistenza (negata da alcuni) di Gesù Cristo, come la Repubblica sociale italiana e la Resistenza, come la lotta di classe. L’educazio ne vera dei ragazzi passa per la democrazia, per l’accettazione dialettica delle opinioni diverse. Pallavidini fra l’altro ha indicato la valvola di sicurezza di tale indirizzo di base prescritto dalla nostra Costituzione, e cioè permettere la discussione con e fra gli studenti. Invece, la posizione della Preside del Cavour e dell’Ufficio scolastico del Piemonte, è quella di una scuola-caserma, in cui a decidere quel che devono insegnare i docenti di storia o filosofia o lettere, sia la Preside stessa, che magari potrebbe essere una grande ignorante su queste tematiche. Quel che si pretende di far passare col caso Pallavidini è il corrispettivo in chiave orale del tentativo di omologare i libri di testo secondo “verità” accertate, o per meglio dire imposte, burocraticamente. Semplicemente folle: stupisce al proposito trovare i nomi di alcuni consiglieri del 26 settembre in appelli contro i tentativi appunto in questo senso - la censura-riscrittura dei libri di storia, o la loro prese lezione “politica” come libri di testo  - di alcuni anni fa della Regione Lazio. O forse non stupisce: perché quell’appello, sacrosanto, era contro Storace, invece il caso Pallavidini nasce in ambiente diverso, anche CGIL-doc.

CANZANO - Ma la sospensione prevedibile sarà alta?

Avv. MOFFA - No, non sarà alta, perché la stessa rappresentante all’adunanza del 26, dell’Ufficio scolastico del Piemonte, ha chiesto una sospensione compresa fra un giorno e 30 giorni. Ma attenzione, anche questo potrebbe suonare come un trucco: se la signora Pessano avesse chiesto più di un mese, la decisione finale  - in base al combinato fra l’articolo 492 e l’articolo 503 del Decreto legislativo 297 del 1994 - sarebbe rimasta a livello nazionale, al Ministro. Invece in tal modo il caso ritorna per la ratifica della sospensione, a Torino, all’Ufficio scolastico piemontese del dottor Catania e dell’ispettore Favro, il cui accanimento contro l’ex insegnante del Cavour è assolutamente dimostrato. In tal modo l’immagine sia pure solo “burocratica” di Pallavidini, un curriculum eccellente, mai un provvedimento disciplinare prima di questo, e diverse pubblicazion i scientifiche, verrà aggredita. Non solo, ma anche con un sol giorno di sospensione, Pallavidini subirà comunque in base all’art. 497 il ritardo di un anno nell'attribuzione dell'aumento periodico dello stipendio. Il tutto mentre Pallavidini insegna ormai, secondo sua pregressa richiesta, in un’altra scuola, la Massimo D’Azeglio, senza problemi o conflitti di nessun tipo.  Si sarebbe dovuto fare una sola cosa di questo incredibile procedimento disciplinare, chiuderlo con un nulla di fatto. O forse due: chiudere il procedimento, ed aprirne altrettanti contro quei funzionari e dirigenti di Torino che hanno svolto il loro compito di vigilanza in modo scorretto, perdendo ogni autonomia di fronte al tam tam mediatico locale e nazionale.




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