Giovanna Canzano
intervista
Mehmet PAÇACI
Ambasciatore della Repubblica di
Turchia presso la Santa Sede
8
novembre 2016
Mehmet PAÇACI
1) In Turchia c’è
stato un tentato di colpo di Stato, per fortuna fallito. Qual era l’obiettivo
dei golpisti?
Innanzitutto, mi
rallegra il fatto che Lei veda in modo positivo il fallito tentativo di colpo
di Stato e vorrei ringraziarLa, in quanto, in alcuni ambienti vi è chi si è
quasi dispiaciuto per il mancato successo di questo cruento episodio accaduto
in Turchia. In ordine all’obiettivo dei golpisti, Le posso dire che si tratta
di un gruppo di persone che, infiltratesi all’interno dello Stato da quaranta
anni, voleva arrivare al potere, creando uno stato parallelo all’interno di
esso. In Turchia il gruppo è nominato FETO, l’acronimo di Organizzazione
Terroristica di Fethullah (Gülen). Da numerose dichiarazioni e prove concrete
oggi si evince che questi hanno iniziato le proprie attività mediante la
fondazione di istituti di educazione scolastica e, nel corso degli anni, hanno
collocato i giovani, cui facevano il lavaggio del cervello, all’interno
dell’esercito, del sistema giuridico, della polizia, dei media e degli ambienti
universitari. Per tale fine, hanno utilizzato ogni metodo privo di religione e
morale, benché affermassero di essere un gruppo religioso. Le stesse
dichiarazioni e prove, di cui sopra, dimostrano come abbiano divulgato ai
propri membri le risposte dei concorsi di ammissione a queste istituzioni, al
fine di far loro superare l’esame. Una volta in esse, hanno adottato
comportamenti di mobbing nei confronti di coloro che non facevano parte del
loro gruppo; anzi nell’esercito e nella polizia si sono servite delle torture
chiamandole esercitazioni professionali; hanno fatto condannare degli innocenti,
producendo accuse basate su prove false per coloro che si opponevano. Hanno
intercettato le telefonate della gente, hanno ripreso le persone di nascosto in
situazioni particolari e le hanno ricattate con quelle immagini. Oggi, in
Turchia, vengono riesaminati i fascicoli irrisolti relativi agli attentati
degli ultimi 30 o addirittura 40 anni. Inoltre, vengono ripresi in mano molti
altri processi giuridici che, sulla base di false prove ed accuse, hanno
causato inique sentenze a svariate persone. Per decina d’anni, abusando di un
nobile concetto che è il dialogo, hanno nascosto le loro cattive intenzioni. Benché
affermassero di essere favorevoli al dialogo e contrari alla violenza, alla
fine, la notte del 15 luglio u.s., hanno compiuto il più sanguinoso tentativo
di Colpo di Stato avvenuto nella storia della Turchia. Hanno ammazzato 250
persone e ferito più di 2000. Per la prima volta nella storia della Repubblica
Turca, hanno bombardato diverse volte il Parlamento. Dai mezzi aerei, così come
dai carri armati, hanno aperto il fuoco sulla popolazione civile che si è
sdraiata davanti ai carri armati, fermando così la rivolta. L’eroica
opposizione e il comportamento a difesa della democrazia, mostrati quella notte
dal popolo turco, sono, in realtà, anche una reazione alle menzogne,
all’iniquità ed alla mancanza di religione e morale, visto che queste persone
hanno ingannato e creato delle situazioni ingiuste per molte persone. Ma ci
pensate? Tutti coloro che erano membri di questo gruppo, sono usciti con il massimo
punteggio in concorsi, dove partecipano migliaia di persone. A centinaia hanno
visto i propri diritti calpestati. Il nostro popolo lo ha sempre saputo, anche
se loro tentavano di nascondersi; alla fine, però, con una reazione da loro
inattesa, è riuscito a porre fine alle ingiustizie, alle menzogne, allo
sfruttamento di sentimenti religiosi e morali, alla violenza, proteggendo così
il Presidente eletto della Repubblica Turca ed il Parlamento e manifestando ciò
al mondo intero. Lo scopo di questo gruppo era impossessarsi dello Stato,
ritenendo legittima ogni condotta immorale. Ma questo si è visto chiaramente la
notte del 15 luglio 2016.
2) In Europa c’è una
certa preoccupazione sulla reazione a quel colpo di Stato. Da parte sua, il
presidente Erdogan ha usato parole molto severe nei confronti dei governi
europei, che non avrebbero protestato con sufficiente vigore contro il
tentativo di rovesciare un presidente democraticamente eletto. I rapporti tra
Europa e Turchia sembra siano a un punto molto basso. C’è speranza di portarli
di nuovo ai buoni livelli di una volta?
Sì, ho provato a rispondere a ciò anche alla domanda
precedente, così come hanno già fatto il nostro Presidente della Repubblica,
Erdogan, il governo, l’opposizione cioè tutte le Autorità turche. Non sono
d’accordo nel definire dure queste espressioni, in quanto noi Turchi, la notte
del 15 luglio u.s., siamo scampati a una dittatura che sarebbe stata in mano ad
un gruppo deviato, e alla conseguente situazione di violenza e caos che ne
sarebbe scaturita. Le Autorità turche hanno soltanto espresso ciò in maniera
diretta, lamentandosi di come i nostri amici non avessero visto questa realtà.
In effetti, in merito al Colpo di Stato, non abbiamo ricevuto alcuna parola di
sostegno, come necessario che fosse, dai Paesi cosiddetti “amici”, con cui
abbiamo dei buoni rapporti. Al contrario, facendo finta di non vedere un così
cruento tentativo di Colpo di Stato, si è scelto di criticare quei passi che
qualunque Nazione democratica avrebbe intrapreso in seguito a tale evento.
Cominciamo solo ora a sentire affermazioni di questo genere dall’Europa. In
realtà, non si limita soltanto a questo. Anche per il problema
dell’immigrazione abbiamo vissuto una situazione simile. È da anni che la
Turchia, con la sua Amministrazione e con il suo popolo, ha accolto a braccia
aperte 3 milioni di immigranti. Quando, poi, questi hanno scelto la via per
l’Europa, l’argomento è finalmente diventato all’ordine del giorno, nel vero
senso del termine. Alla Turchia è stato detto: “Tu tieniti questi immigrati,
noi, nel frattempo, iniziamo a darti quell’aiuto economico che, in realtà,
avremmo dovuto fornire per loro dall’inizio fino a ora”. Tuttavia, in qualche
maniera, ciò è stato interpretato come se la Turchia volesse mercanteggiare per
ricavare soldi dal traffico di immigrati. Ora sono sei anni che la Turchia
assiste i suoi vicini e i suoi fratelli, senza aver ricevuto alcun corposo
sostegno finanziario al riguardo, e, se si vogliono guardare i conti, ha già
speso un importo prossimo ai venti miliardi di euro per assistere gli immigrati
come dovere umanitario. In realtà, quando si tratta di dovere aiutare un
vicino, per la cultura turca è inopportuno parlare di soldi. Per questo, noi
non ne parliamo molto. L’aiuto finanziario, di cui si parla, equivalente a tre
miliardi di euro da dare per gli immigrati, è un dovere umanitario che l’Europa
compie per gli immigrati, non per la Turchia. Anche se l’Europa non fornisse
questo sostegno, comunque la Turchia ha già assistito gli immigrati, con il suo
Stato ed il suo popolo, e continuerà a farlo. Se così fosse, però, l’Europa non
avrà realizzato un impegno fondamentale, ma questo già lo sa. Sembrerebbe quasi
come se il problema principale dell’Europa fosse tenere lontano da sé quegli
immigrati. Un atteggiamento simile si ha in merito al terrore separatista che
da dieci anni miete vittime in Turchia. Queste organizzazioni terroristiche
sono libere in Europa. L’esenzione dal visto, stabilita in base ad accordi
bilaterali; alla fine questa esenzione per mano dell’Europa è stata vincolata
alla riduzione della lotta al terrorismo. Mentre ciò che faceva la Francia era
ben visibile, si è ignorato il fatto che la Turchia combattesse ogni giorno
contro il terrore. Pertanto, in ordine all’esenzione da visto, il popolo turco
ha visto non rispettata la parola datagli. È stato così anche per ciò che
concerne i negoziati che la Turchia da cinquanta anni ha in corso con l’Unione
Europea. Malgrado ciò, la Turchia difende il proprio desiderio e i propri
sforzi per continuare i negoziati. Tuttavia, la popolazione osserva tutti
questi episodi e sta sviluppando un certo atteggiamento relativo ai rapporti
con l’UE. Le espressioni del Presidente della Repubblica, in primis, e
delle Autorità turche non rispecchiano altro che questo.
3) La Turchia ha sospeso provvisoriamente la
Convenzione sui Diritti dell’uomo. In molti si sono scandalizzati in Europa,
dimenticando che la Francia aveva fatto la stessa cosa, pochi mesi prima, per
rispondere agli attacchi terroristici. Ora, però, c’è la questione della pena
di morte. Nessun Paese in Europa contempla questa pena al proprio interno. Se
la Turchia reintroducesse la pena di morte nel proprio ordinamento, ciò sarebbe
legittimo, in base al principio di sovranità popolare e territoriale. Tuttavia,
in questo modo, la strada del dialogo con l’Europa potrebbe chiudersi in
maniera drastica. Che cosa mi dice al riguardo? A che punto stanno le cose? Ci
sarà una proposta di legge costituzionale in merito?
La Turchia, in seguito al cruento tentativo di Colpo di
Stato, allo scopo di poter spazzar via l’organizzazione in oggetto dalle
strutture statali, proprio come ha fatto la Francia, ha derogato alla
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Non è certo una sospensione, ma,
comunque sia, anche questo è stato interpretato come tale. Venendo al tema
della pena capitale, anche ciò è stata la manifestazione della rabbia dei
cittadini contro i golpisti. Il nostro popolo che ha neutralizzato il tentativo
di Golpe, se non mi sbaglio, ha espresso questa richiesta durante il primo
discorso che il nostro Presidente della Repubblica, Tayyip Erdogan, eseguì a
faccia a faccia con la popolazione nelle prime ore della mattina del 16 Luglio.
Anche il nostro Presidente della Repubblica ha affermato che non vi è altra
soluzione, se non quella di approvare un tale cambiamento richiesto dal nostro
popolo, nel caso in cui la richiesta passasse ufficialmente per il Parlamento
turco e gli venisse posta davanti. Riportando in sintesi ciò che il nostro
Presidente della Repubblica disse in un’intervista in merito ai rapporti con
l’UE: “I nostri negoziati con l’UE già non sembrano andare da nessuna parte da
più di cinquanta anni. In altre parole, non è avvenuto alcun cambiamento in
positivo nei rapporti con l’UE, anche dopo che la Turchia ha abrogato la pena
capitale”.
4) Negli ultimi
tempi i rapporti tra la Turchia e la Santa Sede sembra che abbiano conosciuto
alti e bassi, con alcuni momenti di tensione. Come possono ora definirsi questi
rapporti e quali sono le prospettive?
È appropriato dire che l’anno scorso si è vissuta una
certa tensione. Il motivo di ciò è stato perché, il 12 aprile 2015, Papa
Francesco utilizzando un termine che la Turchia non accetta, ha pronunciato il
termine genocidio per descrivere gli eventi del 1915. La Turchia ritiene che questo non rappresenti
la realtà e che ciò sia un’offesa nei confronti dei caduti di tutte le parti
durante gli eventi del 1915 e anche prima di questi. La Turchia ha più volte
espresso il proprio rammarico per le morti di numerosi Armeni avvenute in
seguito alla decisione di deportazione presa dall’Amministrazione dell’epoca.
In realtà, durante quegli avvenimenti, non morirono soltanto Armeni. È altresì
vero che dalla seconda metà del 1800 fino al 1915 morirono migliaia di Turchi,
Curdi e Arabi per le violenze provocate dalle numerose ribellioni. Furono
spazzati via dalla carta geografica numerosi villaggi. Le persone furono
bruciate vive nei luoghi di culto. Il motivo di ciò fu che le Grandi Potenze
promisero di fondare uno Stato nazionale armeno in un territorio geografico
dove i Turchi erano la maggioranza. Tenendo fede a questa promessa, furono
eseguiti cruenti massacri e fu perpetrata con terrore una pulizia etnica nei
confronti di Turchi, Curdi e Arabi che, per quasi mille anni, avevano vissuto
insieme alla comunità armena. La giustizia richiederebbe il difendere insieme
il ricordo di tutta questa gente. D’altro canto, la storia che soltanto gli
Armeni furono uccisi o deportati in quanto Cristiani, non si attiene alla realtà
e alimenta l’islamofobia, l’avversità nei confronti dei musulmani. Le comunità
musulmane e cristiane hanno vissuto insieme per centinaia di anni sotto
l’Amministrazione musulmana. Perché, per esempio, non si è vissuto un tale
episodio precedentemente, per esempio due o quattro cento anni fa? Ciò indica
che vi sono altre ragioni. Inoltre, il vocabolo “genocidio” è un termine legale
tecnico, che è entrato a far parte del linguaggio internazionale giuridico alla
fine della Seconda Guerra Mondiale e, quindi, non può essere usato per eventi
antecedenti quella data. D’altro lato, sappiamo che un grande massacro del XX
sec. fu perpetrato in Namibia nel 1904. Simili stermini o pulizie etniche
furono eseguiti per quasi tutto il XIX sec. e all’inizio del XX sec. nei Balcani.
In tale processo, persero la vita più di 4 milioni di persone e uno stesso
numero di persone fu esiliata in Anatolia. Un’altra pulizia etnica e massacro
fu effettuato nel Caucaso settentrionale contro svariate popolazioni indigene.
Anche in questo caso, si sa che furono ammazzati e deportati più di un milione di
persone per diversi motivi. È noto che i Circassi non mangiarono più pesce
catturato nel Mar Nero in quanto quel mare fu tinto di rosso a causa del sangue
versato dei loro antenati. In quella area geografica questo periodo fu
caratterizzato dai processi di nascita del concetto di nazionalità e di stato
nazionale; fu un periodo molto cruento e doloroso. Questi fatti sono verità
documentate negli archivi. In questo contesto la Turchia ritiene più giusto
commemorare tutti questi eventi insieme a quelli degli Armeni. Bisogna inoltre
ricordarsi che all’epoca della I. Guerra Mondiale l’Impero Ottomano combatteva
su diversi fronti; di conseguenza non ha potuto impedire che avvengano tanti
episodi incontrollabili durante le deportazioni. Infatti il governo Ottomano
dell’epoca a causa delle illegalità verificate durante le deportazioni ha
processato più di 1600 dipendenti propri di cui 67 furono condannati
all’impiccagione e tanti altri furono carcerati. Inoltre alla fine delle guerre
tra gli Armeni condotti alla deportazione ci sono stati quelli che si sono
stabilizzati dove sono stati deportati mentre molti altri sono tornati alle
proprie case; però la maggior parte di questi ultimi in seguito ha scelto di
trasferirsi, per motivi diversi, in Europa e in America.
Papa Francesco, nel 2016 durante la sua visita in
Armenia, ha pronunciato la stessa parola anche se non risultava sul testo
scritto del suo intervento. Questa volta la Turchia ha valutato questo fatto
come se fosse un atteggiamento personale del Papa. Infatti il Papa, durante il
volo di rientro a Roma, ha affermato di non aver utilizzato questa parola come
un termine legale tecnico. Un altro esempio a dimostrazione del fatto che lui
non abbia usato questa parola come un termine legale tecnico è che il Papa
durante la sua visita in Bosnia non ha usato il termine “genocidio” per il massacro di Srebrenica quando il Tribunale
Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia lo ha riconosciuto come tale. Tuttavia lo Stato Vaticano
nel tentativo di definire correttamente gli eventi del 1915, ha dimostrato una
certa sensibilità e di conseguenza la Turchia ha evitato di creare una tensione
nei rapporti bilaterali interpretando questa sensibilità come l’espressione di
buona volontà. Il riscontro della Turchia in questo contesto dovrebbe essere
valutato positivo in quanto comprova esattamente la volontà della Turchia di
proseguire i rapporti esistenti evitando le tensioni. Dunque penso che se il
Vaticano mantiene questo attitudine i rapporti tra la Santa Sede e la Turchia continueranno
migliorando nel tempo. Non trovo nessun ostacolo perché questo non avvenga.
Inoltre credo che il nuovo nunzio apostolico ad Ankara, da poco iniziato la sua
missione, farà del tutto quanto me per migliorare questi rapporti; conosco benissimo quanto lui sia volenteroso per potenziare insieme
numerosi progetti. Per quanto riguarda le relazioni tra la Turchia e l’Armenia,
come è ben espresso anche da parte di Papa Francesco, crediamo che bisogna
orientarsi verso il futuro non verso il passato.
5) Molti analisti
seguono con interesse l’evoluzione dei rapporti tra Turchia e Russia. In
passato gli antenati di questi due Paesi non avevano rapporti proprio
eccellenti: pensiamo, solo per fare un esempio, alla Guerra di Crimea
(ricordiamo, tra l’altro, che il Regno di Sardegna, antenato dell’Italia
odierna, appoggiò l’Impero Ottomano, da cui è nata la moderna Turchia). Siamo
di fronte a una svolta epocale? Cosa deve aspettarsi l’Europa dal nuovo dialogo
tra Turchia e Russia? E’ possibile che questo contribuisca alla lotta contro il
terrorismo internazionale?
Innanzitutto la Russia confina con la Turchia e come Lei
ha fatto presente le relazioni di questi due Paesi hanno le basi storiche. La
Turchia e la Russia dopo il crollo del blocco sovietico si sono impegnate tanto
per sviluppare i rapporti bilaterali. Tuttavia, la crisi siriana e novembre
scorso l’abbattimento del jet russo che ha violato il confine turco-siriano
hanno danneggiato i rapporti. La Turchia e la Russia si sono accorte che per l’interesse
di entrambi Paesi bisognava rincontrarsi per discutere i problemi e hanno
cercato di sanare le relazioni. Come sapete prima del 15 luglio scorso il
ghiaccio si è sciolto. La notte del 15 luglio il Presidente della Federazione
Russa Vladimir Putin è stato la prima persona a chiamare e ad esprimere
fortemente il suo sincero sostegno per la democrazia e questo fatto ha condotto
le relazioni su un altro livello. Dopo il fallito tentativo di colpo di stato
il nostro Presidente ha realizzato il suo primo viaggio all’estero recandosi a
San Pietroburgo il 8 agosto e là le relazioni economiche e politiche bilaterali
sono state di nuovo esaminate. Nei giorni seguenti le delegazioni dei due paesi
hanno continuato con gli incontri. Si capisce che le relazioni economiche e
culturali si svilupperanno. Tra l’altro si può immaginare che i rapporti che
stanno migliorando in questo modo porteranno contributi positivi nella
risoluzione della crisi siriana che ha inflitto sofferenze nella regione e
nell’eliminazione del terrorismo che è una conseguenza della crisi stessa. In
primo luogo si potrebbe ipotizzare una soluzione, che coinvolge anche l’Iran,
per mettere fine al Daesh e per il futuro della Siria. Infatti le dichiarazioni
che arrivano sia dalla Turchia che dai Paesi in questione sono in questa
direzione. L’avvicinamento della Turchia alla Russia non è un’alternativa alle
alleanze che ha con l’Occidente; inoltre la Turchia rimarrà un forte membro
della NATO. L’operazione dello scudo dell’Eufrate contro Daesh avviata dalla
Turchia e la creazione della zona cuscinetto che la Turchia riteneva cruciale fin
dall’inizio creeranno speranza affinché il terrorismo possa essere sradicato e
i siriani esiliati possano ritornare alla loro patria. Già durante i primi
giorni dell’operazione ci sono stati dei siriani che sono ritornati a casa
loro. Il numero continuerà ad aumentare.
Sua Eccellenza il
Signor Mehmet Pacaci, ambasciatore
di Turchia preso la Santa Sede, è nato nel 1959 a Bolu, è sposato e ha tre
figli.
Si è laureato in
teologia all'Università di Ankara (1989) e ha svolto attività docente come
professore di teologia presso il medesimo ateneo (1992-2008).
Ha svolto l'incarico
di consigliere per gli Affari religiosi e i Servizi sociali presso l'ambasciata
turca a Washington (2008-2011).
Dal 2011 è direttore
generale del dipartimento per le Relazioni estere presso l'ufficio
presidenziale per gli Affari religiosi.
TC 2014- Vaticano
Ambasciatore
giovanna@giovannacanzanoo.it
338.3275925
Giovanna
Canzano - © - 2016
Nessun commento:
Posta un commento