Giovanna Canzano
Intervista
Touhami Garnaoui
13.2.2016
Giulio Regeni, la sua morte, oltre ad aver sconvolto il
nostro paese, ha anche reso più difficile il rapporto con l’Egitto. La sua
morte solo un errore? Era forse una spia o solo un ragazzo troppo sveglio e
troppo capace che, non è riuscito a tirarsi indietro e, nonostante tutto, ha
continuato a percorrere il suo cammino di ricercatore, anche se, negli ultimi
giorni si sentiva in pericolo? A chi ha dato fastidio, o, cosa ha capito che
non doveva in alcun modo rivelare? La tortura inflittagli per carpirgli qualche
informazione che non ha voluto dare o non la conosceva? Si può morire così per
eccesso di studio e per un errore di valutazione degli organi preposti per la
sicurezza di uno stato? E l’Italia, accetta a suo malgrado formali scuse di
errore di valutazione? Questi sono interrogativi che ho girato a Touhami Garnaoui.
Touhami Garnaoui, nato in Tunisia, ha seguito gli studi
universitari a Parigi, vive in Italia dal 1969, prima a Roma dove lavorava poi
in Sabina a Tarano da pensionato. A Tarano ha coperto l’incarico di sindaco, primo maghrebino
a ricoprire quest’incarico dal 2004 al 2009.
Laureatosi in scienze matematiche, aerodinamiche e economia. Diplomatosi all'ENSAR (Ecolle Nationale de Statistiques et administration économique. E' stato dirigente di aziende del gruppo IRI delle partecipazioni statali. Ha avuto l'incarico di capo missione del Ministero degli Esteri per la Cooperazione allo sviluppo. Ha scritto diverse articoli su stampa e riviste nazionali e libri di storia, saggistica e teatro.
Laureatosi in scienze matematiche, aerodinamiche e economia. Diplomatosi all'ENSAR (Ecolle Nationale de Statistiques et administration économique. E' stato dirigente di aziende del gruppo IRI delle partecipazioni statali. Ha avuto l'incarico di capo missione del Ministero degli Esteri per la Cooperazione allo sviluppo. Ha scritto diverse articoli su stampa e riviste nazionali e libri di storia, saggistica e teatro.
Tra le sue pubblicazioni ha scritto anche “LE RADICI DEL
GELSOMINO”, BookSprint, 2013
Giulio Regeni, a pochi giorni dalla sua morte,
già i media ne parlano poco.
Purtroppo il martellamento
mediatico continua. In realtà Giulio Regeni e l’attenzione rivolta al suo caso
interessano come pretesto per sferrare una guerra psicologica contro l’Egitto.
D’altronde, l’indagine per la morte del giovane friulano ha i suoi tempi. I
media avrebbero potuto approfittare per effettuare qualche seria analisi sul
perché dell’assassinio di Giulio in questo momento, mentre l’Egitto sta
realizzando il più importante progetto dai tempi di quello della diga di
Assuan: il raddoppio del canale di Suez. Al momento è in corso la realizzazione
di ben sei porti lungo il Canale, che rappresentano una grande opportunità per
investimenti futuri. Inoltre, l'Egitto ha bisogno di almeno 10 miliardi di
dollari di risorse per bilanciare la crisi economica in corso aggravata dal
crollo dei turismo e dai bassi prezzi del petrolio che hanno colpito vari paesi
della regione mediorientale.
Il ministro dello Sviluppo
Economico, Federica Guidi, aveva programmato una visita in Egitto per il 3
febbraio, giorno dell’annuncio del ritrovamento del corpo del giovane Regeni,
alla guida di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace,
Simest e Confindustria. Il programma della visita prevede incontri con il
presidente della Repubblica Abdel Fatah al Sisi, con il primo ministro Sherif
Ismail, tutti i ministri economici, l'Autorita' del Canale di Suez e altri
interlocutori. Gli incontri servono anche a delineare i contenuti del vertice
governativo che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aveva annunciato
voler tenere a breve, sempre in Egitto. La missione della Guidi è finalizzata
alla firma di importanti accordi economici con l’obiettivo di intensificare
l'interscambio tra i due paesi che supera i 4 miliardi di euro, con un export
in crescita ad oltre 2 miliardi. Una vera manna per l’economia italiana.
Il giornale La Repubblica, sotto la firma di Paolo
Valentino, scrive, invece: “Il 6 agosto scorso, contro le obiezioni degli
ambientalisti e le riserve di molti economisti, è stata inaugurata la nuova
corsia di navigazione del Canale di Suez”.
Basandosi poi su alcune affermazioni, guarda caso, dell’ l’Istituto
nazionale Israeliano di Oceanografia, e sull’opinione della giornalista del Nyt
D. Rachael Bishop, titola: “Dal Canale più merci, ma anche molluschi e pesci
che rischiano di provocare una catastrofe ambientale. L’Ue timida con il
presidente egiziano, indispensabile per la lotta all’Isis e il controllo dei
flussi migratori.”
Altri media proseguono il loro battage quotidiano
non su fatti nuovi, ma mettendo in rilievo opinioni di colleghi e professori di Giulio Regeni.
Cambrige, una università di cui si parla molto
in questi giorni, frequentata da Giulio Regeni, come altre università anche
americane, ma, cosa succede a questi studenti?
La
prestigiosa università di Cambridge cerca giovani talenti italiani per
integrare al meglio il suo mix globale di saperi e studiosi. Soprattutto perché
chi esce dai migliori licei italiani possiede un background culturale
assolutamente superiore rispetto a molte high school straniere. Cambridge - che
è la seconda Università al mondo nella classifica 2014/2015 (Qs World
University Rankings) e la prima in Europa - «chiama» Italia a tal punto da
mandare a Roma il responsabile delle Ammissioni. In un’ora di spiegazione - con
slides ed interventi anche di ex alunni, illustra a studenti e genitori cosa
serve per superare i difficili esami di ingresso, come fare la domanda, ecc. Ma
non spiega agli eventuali candidati che i suoi laureati escono con il cervello
lavato british, cioè con in testa un pensiero unico, un modello definitivo,
quello del Fmi, della Banca mondiale e della Banca europea.
Dicevo prima del battage, attraverso il racconto di opinioni di professori di Giulio Regeni. A questo proposito, si legge sul Fatto Quotidiano, del 7 febbraio: “Se devo pensare a che cosa sia esattamente un cittadino del mondo, a me viene in mente Giulio. Ne è sicuro Neil Pyper, docente di strategia e leadership all’Università di Coventry, non lontano da Birmingham nel Regno Unito, e “amico personale” di Giulio Regeni. Il mondo accademico ricorda così lo studioso di Fiumicello, in provincia di Udine. La volontà è lanciare una petizione al governo britannico per far sì che i ricercatori inviati in paesi “problematici” siano più tutelati. E poi l’istituzione di una borsa di studio in suo nome o una conferenza in sua memoria. Con una certezza: la figura di Regeni deve essere difesa anche dalla ricostruzione (fatta propria anche da una parte della stampa) che mette in relazione il giovane e i servizi segreti. Secondo chi conosceva e frequentava Giulio nel Regno Unito, nessun indizio farebbe pensare a questo. “Io di certo non ne ero a conoscenza”, ha aggiunto Pyper. “Neil Pyper è un Associate Head of School - Enterprise and Commercial in the School of Strategy and Leadership at Coventry University”. Specializzato in business strategy internazionale, particolarmente interessato ai mercati dell'America Latina)
Egitto, il Cairo, la situazione politica
internazionale. Il Manifesto, l’agenzia nena-news.it. Tutto gira int0rno ad una
vita che non c’è più. Tanti silenzi.
La collaborazione Roma - il Cairo, solidi
legami economici e culturali tra i due paesi, in un contesto mediterraneo
notoriamente agitato, sono però osteggiati da quelle potenze mussulmane ed
occidentali sioniste che fanno della caduta del generale Al-Sisi, della
destabilizzazione dell’Egitto, e del ridimensionamento dell’esercito egiziano,
l’unico esercito arabo indipendente rimasto in piedi, con quello algerino, una
priorità: l’autobomba rivendicata dall’ISIS che ha devastato l’estate scorsa e
causato morti e feriti, un mese prima dell’arrivo di Giulio Regeni in Egitto,
il consolato italiano del Cairo è un inequivocabile avvertimento mafioso
contro l’Italia. Che abbandoni Al-Sisi e l’Egitto al loro destino o
ne pagherà le conseguenze. L’Isis annunciava nuovi attacchi.
La marca
dell’autovettura che è stata fatta esplodere è la stessa della macchina fatta
esplodere per uccidere il procuratore generale due settimane prima.
Il ministro dell’Interno egiziano si era recato al teatro dell’esplosione nei
pressi del Consolato italiano al Cairo e una piccola folla lo aveva accolto
ritmando grida per chiedere che venissero eseguite le condanne a morte contro i
leader dei Fratelli Musulmani.
“Soltanto Al Sisi può salvare l’Egitto. Questa è la mia posizione personale, e sono fiero della mia
amicizia con lui. Darò il mio sostegno per lui e la direzione della pace», sono
le parole del premier Matteo Renzi durante un’intervista a Al Jazeera. Ferma ed immediata
risposta del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni che in un tweet
aveva scritto: «L’italia non si fa intimidire».
Fra le tante incongruenze raccontate
sulla vicenda della giovane vittima friulana, una colpisce in particolare: l’ambasciatore italiano al Cairo Maurizio Massari
apprendendo dalle sue fonti che il corpo di Giulio era stato portato
nell’obitorio di una zona abbastanza centrale della città decide di muoversi,
senza chieder permesso: «Abbiamo semplicemente informato per telefono le
autorità locali che stavamo per recarci all’obitorio. Non c’è stato né divieto,
né autorizzazione formale». Dice l’ambasciatore: «Vederlo per me è stato
devastante. Presentava segni evidenti di percosse e torture. Ho notato ferite,
ecchimosi e bruciature. Non c’è alcun dubbio che il ragazzo sia stato duramente
picchiato e seviziato». Le bruciature sono state smentite dall’autopsia
preliminare eseguita in Italia: “Il Corriere della Sera ha scritto: «Sono
state rilevate diverse fratture, in aggiunta alla rottura indotta della colonna
cervicale, causa primaria della morte. Non sarebbero emersi segni di abusi o di
violenze sessuali subìti dal giovane. E nemmeno di bruciature [delle bruciature
di sigarette si era parlato nei giorni appena successivi al ritrovamento del
corpo di Regeni, ndr]».
Giulio Regeni, avrebbe potuto destabilizzare
l’Egitto? Cosa ci nascondono? Chi frequentava lo studente italiano?
Si è
ricorso a diversi stratagemmi per mobilitare l’opinione pubblica:
-
l’informazione mediatica distillata col contagocce sulla figura di Giulio,
distorta e incompleta sui fatti, le illazioni, le petizioni, la fiacolata.
Leggiamo per esempio su
La Repubblica del 4 febbraio: “L'esito tragico della vicenda del giovane di
Fiumicello, il secondo studioso italiano morto in modo cruento all'estero dopo
Valeria Solesin, uccisa al Bataclan a Parigi dai terroristi dell'Is.”
Sul Corriere della Sera
del 6 febbraio resta: “l’eterno
dilemma, non solo italiano, su quale sia la soglia del dolore nel
bilanciare le convenienze strategiche con le ragioni dei diritti umani nelle
relazioni fra gli Stati. I rapporti non solo dell’Italia ma di tutta l’Europa
con l’Egitto vanno guardati in tutta la loro complessità. E non c’è dubbio che
la dimensione del rispetto dei diritti umani ne sia componente, ancorché non
unica. Dobbiamo tenerla presente e gestirla in partnership non in modo
paternalistico ma cooperativo, nell’interesse anche dell’Egitto. Senza voler
imporre alcun modello dall’esterno, l’Europa può aiutare l’Egitto a compiere
passi in avanti e migliorare gli standard della democrazia. Tenendo presente
che la lotta al terrorismo islamico è una priorità per tutti».
Ai media italiani fa eco
il Nyt: è "un altro segnale allarmante di abusi da parte della
forze di sicurezza in un Paese dove
detenzioni arbitrarie e torture stanno diventando sempre piu' comuni".
- Gli amici di Giulio
Regeni si sono mobilitati anche sul web per chiedere di fare luce sulla sua
morte. Giovanni Parmeggiani ha lanciato sulla piattaforma Change.org una
petizione con “la richiesta alle autorità tutte - ai governi egiziano e
italiano e all'Unione Europea - di impiegare ogni possibile mezzo per far luce
sulle circostanze dell'uccisione di Giulio Regeni".
Oltre 4600 gli esponenti del mondo universitario
internazionale hanno firmato una lettera aperta scritta dall’Università
inglese di Cambridge e indirizzata al
presidente egiziano al-Sisi. Obiettivo: chiedere
piena collaborazione per far luce su quanto accaduto al giovane ricercatore
friulano
e a tutte le altre persone scomparse e torturate in Egitto. “Siamo
sconvolti dal fatto che il pubblico ministero egiziano dichiari che ci sono stati ampi segni di tortura sul suo
corpo. Coloro che erano a conoscenza della scomparsa di Giulio prima della
scoperta del suo corpo erano assai preoccupati per la sua sicurezza, dal momento che è scomparso nel bel mezzo di una campagna
di sicurezza che ha portato ad arresti arbitrari di massa, un drammatico
aumento di casi di tortura all’interno di stazioni
di polizia, e altri casi di sparizioni, secondo
la documentazione delle organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani.”
- Fiaccolata a
Fiumicello, per Giulio Regeni. Domenica 7 feb. Sera, per le strade del paese in
provincia di Udine centinaia di persone hanno partecipato alla fiaccolata in ricordo
del giovane ricercatore.
"Giulio è stato ucciso per quello in cui credeva - ha detto il parroco, don Luigi Fontanot - Devo dire grazie a Dio, Jhavè, Padre, Allah o come
vogliamo chiamarlo, grazie a Dio per averci
dato Giulio".
Perché proprio uno studente italiano catturato
ed ammazzato dopo la pubblicazione di un articolo e fatto trovare durante la
visita di una delegazione italiana in Egitto?
Vorrei
fare notare che l’articolo è stato pubblicato sul Manifesto soltanto il 5
febbraio, per la prima volta con il nome di Giulio Regeni, mentre si è saputo
della morte del giovane friulano la sera del 3 febbraio. Quella sera,
l’ambasciatore Maurizio Massari dava un ricevimento nella sua residenza con
tutta la comunità degli affari italo-egiziana, passaggio decisivo per una
missione economica, occasioni dove si parla di contratti e opportunità
d’investimento. Dice l’ambasciatore Massari: «E’ successo all’inizio, verso le
otto. Una fonte del ministero degli Esteri mi ha dato la brutta notizia che
Giulio era stato ritrovato morto alla periferia della città». Il ricevimento
viene interrotto, gli invitati se ne vanno senza toccare cibo. Massari fa le
sue verifiche e purtroppo riceve solo conferme: la notizia è vera. Così,
insieme al ministro Guidi, si reca di persona nell’appartamento di Giulio, dove
alloggia la famiglia, per la parte più ingrata: informare i genitori del
ragazzo arrivati da qualche giorno dal Friuli e con i quali è in costante
contatto. Un annuncio doloroso, la fine di ogni speranza. Nel frattempo viene
avvisata Roma, Farnesina e Palazzo Chigi. Da quel momento inizia anche lo
stretto coordinamento con il ministro Gentiloni sulle cose da fare.
Ci
si chiede perché gli assassini hanno scelto proprio Giulio Regeni, un giovane
ricercatore di 28 anni, dottorando in commercio e sviluppo internazionale al
dipartimento di politica e studi internazionali dell’università di Cambridge,
nel Regno Unito, soltanto dal mese di settembre 2015 al Cairo, come visiting researcher
dell'American University per una tesi sull'economia del paese.
Egli viene descritto come viaggiatore, brillante studente, e già a 17 anni,
durante il liceo Petrarca che frequentava a Trieste, andò a studiare per un
anno nel New Mexico, negli Stati Uniti. Curioso, appassionato di teatro e
conoscitore di lingue (oltre a un perfetto inglese, conosce francese, spagnolo
e arabo che voleva perfezionare con questo viaggio in Egitto), politicamente a
sinistra seguiva da studioso le notizie dal Nord Africa e dal Medio Oriente.
Era un simpatizzante dell’opposizione al regime di Al-Sisi e, vista la sua
giovane e romantica età, una preda facile per gli oppositori al regime
egiziano, rappresentati essenzialmente dai Fratelli mussulmani, e più in
generale per i nemici della cooperazione italo-egiziana e per la stabilità
dell’Egitto. Se lo hanno giustiziato gli sbirri egiziani o tutti coloro i quali
amano pescare in acque torbide, se gli sbirri hanno agito a seguito di un
ordine impartito loro dalle autorità superiori o meno, questo lo potrebbe
stabilire soltanto una giustizia giusta. Non molto tempo fa, Al-Sisi era
pubblicamente intervenuto per condannare la brutalità della polizia, coinvolta
in una serie di scandali. Noi, possiamo solo dire che tenere nascosta la verità
serve a denigrare l’Egitto, il suo esercito e il suo regime, più che a
indebolire l’opposizione egiziana, e tutti i nemici della pace, in nome di
falsi diritti umani, come si è visto in Kosovo, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria.
Cosa cambierà nei rapporti Italia-Egitto?
Nelle
relazioni fra Stati, rispetto alle convenienze strategiche, le ragioni etiche
possono essere come una nebbia che lascia il tempo che trova. Ma chiediamoci
chi avrebbe interesse a peggiorare i rapporti tra Italia ed Egitto e perché.
Soltanto sei mesi fa, i
media notavano che la stabilizzazione avviata da Al-Sisi fa bene ai rapporti
economici tra i due Paesi e che, con la
Libia atomizzata e fatta eccezione per l’Algeria, l’Egitto oggi è il più
importante mercato italiano in Africa. Nel 2014 l’interscambio è stato pari a
5,180 miliardi di euro, e vale l’8 per cento dell’export egiziano. Il
viceministro con delega per il Commercio estero Carlo Calenda aveva affermato:
«Dall’arrivo di al Sisi al governo l’interscambio italiano ha avuto un enorme
impulso. Piaccia o no, i processi di stabilizzazione politica rafforzano i
rapporti economici».
A metà luglio 2015,
quasi tutte le grandi aziende quotate hanno firmato o stanno per firmare
importanti accordi di investimento. Eni, Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli,
Italcementi, Ansaldo e ancora Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir. La Stampa
Mondo notava che, non è solo una questione di petrolio o cemento. A fare lauti
affari con l’Egitto oggi sono anche le imprese medie e piccole padane: basti
dire che la meccanica strumentale è la principale voce dell’export verso il
mercato egiziano. L’Italia è il terzo Paese fornitore dell’Egitto dopo Cina e
Stati Uniti, il primo cliente davanti a India e Arabia Saudita. La quota
dell’interscambio Italia-Egitto è cresciuta fra il 2013 e il 2014 del 10 per
cento ed è destinata a salire ancora. Più che le esportazioni ad essersi
rafforzata l’anno scorso è stata la quota delle importazioni italiane
dall’Egitto, cresciute addirittura del 28 per cento. È il segno di una
stabilizzazione dell’economia interna: tutti i report raccontano di un Paese
che ha rimesso ordine nei conti pubblici. Al Sisi è molto attento a non pestare
i piedi agli investitori stranieri: mentre con i Fratelli Musulmani Intesa
Sanpaolo ha rischiato la nazionalizzazione della controllata Banca Alexandria.
In quel momento, siamo
nel mese di luglio 2015, viene compiuto un attentato al consolato italiano al
Cairo, con almeno due morti e diversi feriti. L’attentato è rivendicato
dall’Isis.
Tre mesi dopo, il 31
ottobre scorso un aereo della compagnia aerea russa Metrojet è precipitato
nell’area della penisola del Sinai, in Egitto. L’aereo era partito
da Sharm el-Sheikh, in Egitto, ed era diretto a San Pietroburgo, in
Russia: tutte le 224 persone a bordo sono morte. l’Isis della provincia
del Sinai (“Wilayat Sinai”), rivendica
l’abbattimento dell’aereo russo.
Il primo governo a
esprimersi apertamente sulla possibilità di una bomba è stato quello
britannico. Il ministro degli Esteri Philip Hammond aveva detto: «Abbiamo
concluso che c’è una significativa possibilità che lo schianto sia stato
causato da un dispositivo esplosivo a bordo dell’aereo». Il Regno Unito
aveva anche sospeso tutti i voli diretti verso il suo territorio e con
partenza da Sharm el-Sheikh.
Il governo egiziano
aveva reagito con durezza alle dichiarazioni del governo britannico e alle
successive ipotesi delle intelligence statunitense ed europea. Il ministro del
Turismo egiziano aveva anche detto che la decisione delle compagnie aeree di
sospendere i voli verso Sharm el-Sheikh era “ingiustificabile”, e
avrebbe potuto danneggiare molto il settore locale del turismo.
Allora per rispondere
alla domanda chi ha interesse ad eventuali cambiamenti nei rapporti
Italia-Egitto, la risposta qui è evidente: il governo britannico e le
intelligence statunitense ed europea.
Nel caso della morte
violenta di Giulio Regeni mi sembra che il quotidiano Il Foglio riassuma
abbastanza la posizione dei due governi italiano ed egiziano; soprattutto dopo
la sconfitta dell’Isis e degli amici dell’opposizione in Siria e gli accordi di
Monaco di Baviera sulla cessazione delle ostilità tra il governo di Assad e
l’opposizione ad esclusione dell’Isis e di al-Nusra, gruppo armato di al-Qaeda: “Xi Jinping aveva preceduto di pochi giorni
la missione italiana, offrendo strabilianti occasioni di business: come è noto
i cinesi non confondono gli affari con i diritti umani. Né lo fanno i russi,
gli ultimi grandi venuti fra i clienti dell’Egitto. E in fondo nemmeno inglesi,
francesi e americani sono così rigorosi quando si devono vendere squadriglie di
caccia Rafale. C’è ressa alle porte dell’Egitto come di ogni regime che abbia
un peso economico e geopolitico. Se usciamo dalla coda, gli altri in attesa
sono solo contenti. Ma questo non esclude che un Paese autorevole – se con
l’Egitto lo siamo – mostri comunque la sua dignità e chieda giustizia”.
giovanna@giovannacanzano.it
338.3275925
Giovanna
Canzano - © - 2016
Giovanna Canzano ©
Gli apparati di sicurezza egiziani avrebbero dovuto monitorarlo, ma siamo sicuro che lo abbiano fatto ? Chi erano quelli che lo seguivano ? Fratelli musulmani che probabilmente sono infiltrati sia nella polizia che nel governo. Perche' torturarlo con metodi superati ? Se fosse stato il governo egiziano, sarebbe bastato metterlo dentro in una "bella" cella di un carcere e c'era pure il valore aggiunto del ricatto alle autorita' italiane, si ricollega alla bomba fuori il consolato, alla bomba sull'aereo russo, farina del sacco di Londra e fratelli musulmani. IMHO
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